„Uomini del Sud! È meglio morire in piedi che vivere in ginocchio“
„Non vogliamo la pace degli schiavi o la pace della tomba“
„Fa ‘il tuo dovere e sarai degno; difendi il tuo diritto e sarai forte e sacrificherai te stesso se necessario, che più tardi il Paese si leverà soddisfatto su un piedistallo irremovibile e lascerà cadere sulla tua tomba una manciata di rose “
— Emiliano Zapata
Quando il Cinema e la storia raccontano di come una maggioranza possa essere considerata come una minoranza, senza diritti e dignità.
Quando una pizza viene ostracizzata e una minoranza silenziosa e piena di vergogna, la assapora in solitudine davanti a un film di Muccino. (In chiusura dell’articolo la consueta ricetta della pizza, che questa volta sarà denominata Conosci il tuo nemico ed evitalo accuratamente)
VIVA ZAPATA!
ANNO: 1952 DURATA: 110 minuti GENERE: biografico, storico REGIA: Elia Kazan SOGGETTO: John Steinbeck (tratto da una sua biografia dedicata a Zapata, mica… pizza e fichi) SCENEGGIATURA: Darryl F. Zanuck PRODUZIONE: Stati Uniti d’America CAST PRINCIPALE: Marlon Brando, Jean Peters, Anthony Quinn, Mildred Dunnock, Alan Reed, Margo.
TRAMA (RIASSUNTO DEL RIASSUNTO)
Per conoscere la trama basterebbe esaminare la biografia di Emiliano Zapata (1879-1919). Tutto gira attorno alla lotta politica-sociale del rivoluzionario messicano contro il dittatore Porfirio Díaz, a sostegno dei diritti dei peones vessati e oppressi dai grandi proprietari terrieri.
APPROFONDIMENTI E CURIOSITÀ (MENO DEL MINIMO SINDACALE, GIUSTO PER GIRARCI INTORNO)
Perché vedere questo vecchio film in bianco e nero? Vi riporto qualche personale motivazione random.
Perché di tanto in tanto (ri)guardare un ultra-classico non fa male a nessuno;
Perché Elia Kazan era un regista “non c’è male”;
Perché c’è Marlon Brando in una delle sue migliori interpretazioni di sempre, una prova attoriale da top 5;
Perché c’è Anthony Quinn che in questa occasione ha vinto giustamente un bel premio Oscar;
Perché potere e denaro non possono corrompere proprio tutti e questo il film e la storia lo raccontano benissimo (prendiamo appunti che ci fa bene);
Perché la ricostruzione storica è di qualità eccelsa e l’intrattenimento non ne risente;
Perché il finale della pellicola ci suggerisce qualcosa d’importante… a fine visione valuterete voi su cosa meditare e se è ancora il caso di farlo oggi.
CURIOSITÀ:
In un ruolo assolutamente secondario di un peon, gli occhi più allenati potranno scorgere un giovanissimo Henry Silva, attore statunitense che, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, “esule” da Hollywood ha dato lustro al nostro cinema di genere.
ALCUNI PREMI E CANDIDATURE RICEVUTE DAL FILM:
Miglior attore non protagonista: Anthony Quinn (Oscar 1953)
Nomination migliore sceneggiatura originale di John Steinbeck (Oscar 1953)
Nomination migliore scenografia a Lyle R. Wheeler, Leland Fuller, Thomas Po, Claude E. Falegname (Oscar 1953)
1953 – Vincitore Di Un Academy Award.
Il premio per la migliore colonna sonora di Alex North.
Bafta award per il miglior attore: Marlon Brando.
TRAILER… ANZI, SUITE
ALCUNE VISIONI (S)CONFINANTI SUGGERITE (SCOPRI L’INTRUSO)
East Is East (1999, Damien O’Donnell), The Tracker – La Guida (2002, Rolf de Heer), La classe operaia va in paradiso (1971, Elio Petri), Le inibizioni del dottor Gaudenzi, vedovo, col complesso della buonanima (1971, Giovanni Grimaldi), Il dittatore dello stato libero di Bananas (1971, Woody Allen), I compagni (1963, Mario Monicelli), L’ultima onda (1977, Peter Weir).
LA RICETTA DI CINEMA-OFF E PIZZA (edizione “Conosci il tuo nemico ed evitalo accuratamente”): pizza hawaiana
La premessa è sempre la stessa: darò per scontato che sapete preparare la base per una piazza casalinga.
Prendete la salsa di pomodoro leggermente salata e cospargetela sulla base. Spezzettate la mozzarella e aggiungetela come se diluviassero latticini. Brandite qualche fetta d prosciutto cotto (per i più coraggiosi, anche a cubetti) e disponetelo sulla pizza. Per ultima cosa – purtroppo – munitevi di un ananas e tagliatelo a fette, poi suddividete ciascuna fetta in cubetti (ma potete anche lasciare le fette intere, tanto…). Mettete i cubetti o le fette in padella antiaderente con 30 ml di acqua e fate saltare in padella per 3 minuti circa. Aggiungeteli, ormai tiepidi, alla vostra pizza. Versate un filo d’olio e infornate in forno preriscaldato a 190 gradi circa per il tempo necessario… e che Dio vi perdoni!
Quando si è bambini, spesso e volentieri non comprendiamo ciò che ci circonda o ciò che vediamo in televisione. Da piccolo guardavo molti cartoni animati (anche oggi che sono adulto eh!) e tra questi ricordo gli Insuperabili X-Men, un gruppo di supereroi dotati di poteri fin dalla nascita e che appartenevano alla Marvel. La casa delle idee attraverso i suoi media ha sempre cercato bene o male di riportare un riflesso della società in cui viviamo; nel 2012 la Marvel annunciò il primo matrimonio gay sulle pagine del fumetto degli X-Men ed era il primo passo verso una maggiore inclusività nel panorama supereroistico. Ma cosa collega gli x-men con la tematica di questa settimana? Nonostante tra di loro ci siano dei supereroi, la razza mutante è vista con sospetto e paura. Nel mondo Marvel l’homo sapiens superior è una minoranza rispetto al resto della società, nonostante sia possibile trovare persone di qualsiasi appartenenza culturale, di genere o nazionalità; crea un paradosso che in un gruppo così omogeneo si possa parlare di minoranza. La società ideata dalla Marvel porta la figura di Magneto da antagonista ad antieroe, in una crociata mutante dove l’unico pensiero è quello di essere accettati; una figura oppressa e liberatrice, il signore del magnetismo in più occasioni nelle avventure degli x-men dimostra che non ha interessi solo gli homo sapiens superior ma per gli esseri umani in generale. Diventa un simbolo di lotta e libertà contro gli oppressori, figure ed organizzazioni che inquinano i media e portando i mutanti ad essere demonizzati. Quando ero bambino i concetti di maggioranza e minoranza in una società non sapevo neanche cosa indicassero e a distanza di anni rivedere e rileggere le avventure degli X-Men sotto questa nuova lettura un po’ ti sorprende; come detto in precedenza all’interno della razza mutante ci sono supereroi ma anche super cattivi, seguendo una logica di lotta tra bene o male ma con una differenza sostanziale dalla concezione filosofica a cui siamo abituati: in questo caso i cattivi di turno non fanno altro che cercare di difendere i propri simili, oltre che ambire ad una parità di diritti. Uno tra i tanti antagonisti di Wolverine&Co. è il signore del magnetismo, Magneto. IL SIGNORE DEL MAGNETISMO Oltre ai fumetti e la serie animata, gli x-men approdano sul grande schermo negli anni 2000 e introducono così la razza mutante al mondo cinematografico. Nel film il principale antagonista è Magneto, con lo scopo di trasformare gli homo sapiens in una sorta di homo sapiens superior come definisce se stesso e la sua razza il signore del magnetismo. Ma Erik Magnus Lehnsherr non è solo l’antagonista della storia ma riesce ad essere anche il simbolo dell’oppressione, poiché il suo principale obiettivo non è quello di trasformare gli esseri umani normali in qualcosa di superiore ma di far comprendere il senso di oppressione, discriminazione ed odio che sono costretti a provare ogni giorno. Spesso le minoranze che si trovano in una società diversa dal loro luogo di origine, costretti a scappare da una guerra per esempio si ritrovano in una nazione che non li accetta e che li emargina. Ma questo purtroppo non avviene solo con popolazioni culturalmente diverse da noi, anche se oggi con la velocità di comunicazione dovuta grazie ad Internet sarebbe possibile conoscere l’altroed iniziare ad abbattere concetti come maggioranza e minoranza; Magneto in ogni media prodotto dalla Marvel cerca di abbattere il muro del pregiudizio, la sensazione di paura con ogni modo possibile e creare una parità di diritti tra gli homo sapiens e i mutanti. Una particolarità che contraddistingue il personaggio di Magneto è la sua origine: nato ebreo durante il periodo nazista ed imprigionato ad Auschwitz. Questa informazione rende ancora più interessante il personaggio, essendo stato oppresso fin dalla nascita si può comprendere il desiderio di stabilire una sorta di uguaglianza tra umani e mutanti
ESSERE MINORANZA Quello che gli x-men rappresentano è l’inclusività in una società ancora troppo lontana dal comprendere al 100% l’uguaglianza tra diritti, in fin dei conti all’interno del gruppo di Charles Xavier e Magneto incontriamo qualsiasi tipo di persona. Ma non rappresentano solo l’inclusività, rappresentano il diverso e la paura per esso, la speranza di poter guardare negli occhi l’altro e poter dire “siamo uguali”, il sogno di un futuro radioso. Nonostante Magneto usi metodi da terrorista, riesce in qualche modo a portare l’attenzione dei media su ciò che significa realmente essere minoranza e la Marvel attraverso di loro cerca di preparare il terreno verso l’accettazione del diverso alle future generazioni. Ovviamente un fumetto, un film o una serie tv non possono portare al totale cambiamento di pensiero o di eliminare delle situazioni di discriminazione ed emarginazione ma possono essere un piccolo supporto per chi realmente vuole fare qualcosa a cambiare la realtà che ci circonda. W gli insuperabili X-Men!
La minoranza in ambito psicologico è un tema che viene affrontato dalla psicologia sociale e che le scarpe sicuote che mi hanno preceduto in questi giorni hanno rappresentato in maniera eccellente. Che dire allora in casa sbiglialacci?
Oggi vorrei descrivere un altro tipo di minoranze, una particolarità in apparenza tutta numerica (almeno nel modo che ho scelto per descriverla). Le minoranze di cui voglio parlare posseggono caratteristiche, siano esse di personalità o intellettive oppure di una qualsiasi altra caratteristica psicologica, fuori dal comune; gli statistici direbbero di queste persone che “ottengono una prestazione al di sopra (o al di sotto) del 97,5% della popolazione” in uno dato test: le code della distribuzione normale.
Andiamo in ordine: ogni volta che qualcuno inventa un test per misurare qualcosa, una qualsiasi caratteristica psicologica, e una volta terminati gli anni di studi statistici, si passa alla somministrazione a un numero selezionato di persone che, secondo chi le seleziona, rappresenta in modo omogeneo la popolazione di un territorio (uno Stato, un continente o l’umanità intera) o di un preciso gruppo. Raccolti i dati di questa prima somministrazione si passa ad analizzare i risultati, e la prima cosa è vedere quante persone ottengono prestazioni simili; per una legge che dovrebbe essere chiamata dogma vista la sua applicazione a tutte le distribuzioni che verranno chiamate normali, il 70% dei rispondenti al test ottiene una prestazione simile: attraverso questo metodo si capisce qual è il punteggio medio per quel determinato test. Il restante 30% di chi ha fatto il test otterrà dei punteggi diversi dalla normalità delle persone suddividendosi in punteggi più alti e più bassi rispetto alla norma: 15% da una parte e 15% dall’altra. Questa percentuale residua già rappresenta, di per sé, le code della distribuzione normale; per parlare di minoranze, però, non credo basti prendere come campione rappresentativo semplicemente ciò che sta al di fuori di quanto si riscontra in due terzi della popolazione, anche perché in questo modo direi che, su 100 persone, se 70 fanno una cosa e 30 un’altra, quei 30 rappresentano una minoranza. Beh, volendo sì, ma sono abbastanza convinto che in quei 30 sarebbero più le differenze che le somiglianze, quindi non si potrebbe parlare di vera e propria minoranza unitaria.
Nei termini generali che ho scelto di usare, per arrivare ad una minoranza unitaria, qualsiasi caratteristica psicologica si prenda in considerazione, bisogna arrivare al già citato 97,5% perché arrivati a questi due punti e mezzo percentuali di rappresentatività generale si incontrano gli estremi delle code di distribuzione: chiunque ottenga un risultato del genere possiede un attributo che lo definisce così bene e lo accomuna così tanto a chi ha risultati simili che può essere definito come facente parte di una minoranza.
Gli attributi di una minoranza così definita sono presenti in tutto il resto della popolazione, ma nella minoranza fin qui descritta in una forma estrema al punto da essere presa come riferimento dalla popolazione normale e da quella al di sopra, o al di sotto, della norma per spiegare l’essenza dell’attributo stesso. È questo il motivo per cui “l’influenza minoritaria è un processo di influenza sociale che si verifica quando una minoranza è in grado di incidere sulla comunità di appartenenza mettendone in discussione alcune regole, credenze, opinioni” (Wikipedia): quando la maggioranza di una popolazione presta ascolto ad una minoranza significa che l’attributo più rappresentativo di quella minoranza è percepito nel resto della popolazione come un qualcosa di evanescente che ha bisogno di essere rinvigorito e rinforzato, e per questo bisogna prestare attenzione alla massima espressione di quel dato attributo.
La tematica che abbiamo scelto questa settimana rappresenta una vera e propria sfida. Non certo semplice, ma tutte le sfide nascondono un grado di difficoltà con cui, in un certo qual modo, ci dobbiamo ritrovare a fare i conti.
Essere minoranza o essere in minoranza rappresenta una condizione non semplice da raccontare, soprattutto alla realtà esterna. Requisiti e visioni minoritarie o di minoranze possono essere comprese solo grazie ai protagonisti che attraverso la propria esperienza autobiografica riescono a far emergere realtà differenti da cui molto spesso risulta fondamentale ripartire per vivere in un mondo migliore.
Quella che ritroverete nel seguente articolo riguarderà, per l’appunto, una riflessione frutto di un’esperienza autobiografica che può far comprendere molteplici cose. Ma procediamo con ordine.
Nelle ultime settimane la provincia di Avellino è stata attraversata ed interessata da numerosi eventi di cronaca che hanno scosso l’opinione pubblica locale. Un ventaglio eterogeneo composto da eventi estremi e cruenti e drammi familiari. Atti violenti nei confronti di persone o luoghi hanno rappresentato un brusco risveglio primaverile, per una provincia troppo spesso addormentata anche oltre il tempo del letargo.
Ovviamente le reazioni sono state eterogenee, male soluzioni invocate o auspicate sono state quasi sempre unidimensionali. Differenti situazioni sono state classificate e semplificate in modo pericoloso, anche dagli organi di stampa locali, che hanno spesso invocato una maggiore azione di sorveglianza e di sanzione.
Una stessa reazione la si è vista in seguito ai recenti atti vandalici che hanno interessato il Cinema Eliseo.
Controllo, supervisione, telecamere e sanzioni, sono queste le parole chiave che molto spesso ritornano nel dibattito pubblico. Facili soluzioni a problemi complessi.
Ed ecco la condizione minoritaria frutto dell’esperienza autobiografica. Altre volte in questa rubrica ho avuto modo di raccontare l’esperienza della Piazzetta degli Artisti, analizzando i processi che l’hanno sostenuta e quelli che ne hanno sancito la fine. Nella sua incredibile complessità questa esperienza ha saputo donare una risposta interessante e tutt’altro che convenzionale ai quanti invocano, da sempre, forme di controllo e sanzione.
Difatti, nei mesi di riqualifica e rigenerazione quel piccolo lembo di centro storico, che per tanto tempo era stato occasionalmente devastato e deturpato, aveva riscoperto una condizione di pace. Per mesi, e poi, per qualche anno, non una panchina era stata distrutta, non una tegola era stata rotta. Eppure non una sola videocamera era stata installata e la presenza delle forze dell’ordine risultava sporadica.
Come è stato possibile tutto ciò? Come è stato possibile per un luogo tutt’altro che visibile vivere un lungo periodo di assenza di vandalismi?
La presenza e l’azione di un numero consistente di cittadini, soprattutto di giovani, ha portato con sé due vantaggi immediati: il primo ha fatto sì che una piazza, molto spesso, ritenuta nascosta potesse essere vissuta con maggiore frequenza, rendendola di fatto più esposta agli occhi di tutti, anche nelle ore più rare. Il secondo lo si ritrova nella vicinanza che un numero sempre maggiore di persone aveva con quel posto. I legami sociali e le reti hanno svolto un’azione deterrente.
Infatti, anche chi solitamente si impegna (credo che anche per questa azione sia necessario un impegno non indifferente) in atti vandalici si è ritrovato in qualche modo legato o vicino a qualcuno, tra i tanti, che era coinvolto nella riqualificazione e pertanto si è sentito automaticamente scoraggiato ad intraprendere qualsiasi azione che potesse arrecare danno a qualcuno di vicino e prossimo alla sua rete sociale.
Ed ecco finalmente le conclusioni: l’insegnamento di questa esperienza mi ha convinto, da qualche anno a questa parte, a mantenere sempre una posizione di minoranza nel dibattito pubblico. Sono ancora convinto che la sicurezza, la salvaguardia e il benessere di un luogo possa essere realmente tale solo se gli si permette di vivere e di progredire, attraverso delle azioni di partecipazione attiva e solo incoraggiando iniziative di tipo comunitario. Purtroppo non è una risposta semplice, richiede una buona dose di sacrifici e una certa maturità istituzionale, ma sono sicuro che il risultato sarà sicuramente migliore e più duraturo di chi immagina per le nostre città soluzioni coercitive.
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