
Il disagio
Cara Fabiana,
Il 15 agosto metà delle persone nate dalla parte fortunata del pianeta era al ristorante, l’altra metà probabilmente con le chiappe nell’acqua. Intanto a Kabul, la presa del potere da parte del talebani. E, diciamoci la verità, alla maggior parte degli occidentali, semmai tra un selfie e l’altro fosse mai giunta la notizia in tempo reale, non credo gli si sia guastata la giornata, il boccone non gli è andato di traverso. Compresa me.
Ci sono voluti giorni e immagini di dolore a invadere social e tg per provare un minimo di sconvolgimento. No, sconvolgimento non è la parola adatta. Lo sconvolgimento non può tradursi in un “mammamia, povera gente”. Eppure, è proprio questo il massimo che noi comuni mortali fortunati riusciamo a fare: provare commiserazione per un bambino lanciato oltre il filo spinato e, un attimo dopo, tornare a farsi la manicure.
Lo so, le mie parole sono come quel filo spinato, ma oltre ad esse, purtroppo, non vedo la stessa possibilità di salvezza. Eppure, io sono salva perché vivo in un Paese in cui sono libera, libera di esprimere il mio pensiero, libera di essere me stessa.
Dovrei esserne felice? Sì, sono grata per questo, ma, al contempo provo disagio.
Navigando su internet sono tanti gli articoli in cui si proclama il fallimento della democrazia o si parla dell’impossibilità di esportare la democrazia lì dove non vi è mai stata.
Che ci troviamo di fronte a un fallimento della democrazia è palese, ma dichiarare che non tutti abbiano diritto ad avere diritti mi sembra un’eresia.
C’è sempre una prima volta, in tutto. E poter solo lontanamente credere che un essere umano non abbia il diritto di essere libero o uguale ad un altro essere umano solo perché così non è stato mai, mi sembra tutt’altro che democratico.
Per chi non avesse ancora chiaro il concetto, tra i principi fondamentali della democrazia vi sono proprio quelli di libertà e uguaglianza. Quindi, se sei un uomo libero in un Paese democratico e nella tua testa galleggiano pensieri del tipo “le donne lì sono abituate ad essere considerate una minoranza” e magari qualche urlo in testa lo dai pure a tua moglie, io qualche domanda me la farei. Sempre se sei in grado di porti domande.
Io, nel frattempo, cerco di dare un nome a quella sensazione che mi assale quando realizzo che apparteniamo alla stessa natura e condividiamo lo stesso unico mondo solo in teoria. Nel concreto vedo tanti piccoli mondi che si ignorano oppure si fanno la guerra.
A livello macro la democrazia somiglia tanto a quell’abito dei sogni che compri a tutti i costi, anche se ti va stretto. Ogni tanto provi a indossarlo, ma non puoi tenerlo troppo a lungo.
A proposito, per quella sensazione di cui ti parlavo, l’unica parola che mi viene in mente è disagio.
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