Il mito della caverna e The Truman show

Il mito della caverna e The Truman show

Se Platone fosse vissuto oggi, molto probabilmente avrebbe fatto lo sceneggiatore e avrebbe vinto pure qualche Oscar. I suoi scritti non sono dei trattati filosofici ma dei veri e propri dialoghi in cui due o più personaggi discutono di vari argomenti come la giustizia, la virtù o l’amore. Scopo dei dialoghi è quello della ricerca della verità. Solo attraverso un approfondito scambio di idee e opinioni è possibile raggiungere una verità comune e condivisa da tutti i partecipanti della discussione. Platone non ha fatto altro che mettere per iscritto il metodo d’indagine del proprio maestro, Socrate, che vedeva appunto nella ricerca comune e nel dialogo l’essenza stessa della filosofia. Ma non è tutto. Il filosofo di Atene ci ha regalato alcune delle rappresentazioni allegoriche più iconiche della storia della cultura occidentale. Queste rappresentazioni sono i miti ovvero dei racconti simbolici che servivano a spiegare argomenti piuttosto difficili da comprendere. Alcuni di questi miti, oggi, sono stati ripresi e adattati in diversi contesti, come la letteratura e il cinema. È così che ritroviamo il mito dell’anello di Gige, raccontato nella Repubblica, ne Il signore degli anelli. Il mito racconta di un pastore della Lidia, Gige, il quale ritrova un anello che lo rende invisibile. Egli quindi, indossando il magico artefatto, uccide il re e diventa sovrano della Lidia. E come non pensare al recente film della Disney Pixar, Soul, di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo, nel quale viene riproposto il mito di Er.

Sicuramente però, il mito più famoso che Platone ci ha lasciato è quello della caverna, anch’esso presente nella Repubblica. Diversi film hanno ripreso le dinamiche dell’allegoria platonica, tra i più famosi possiamo ritrovare Matrix e The Truman Show, di cui parleremo a breve. Prima di parlare del film, analizziamo nel dettaglio il mito della caverna.

IL MITO DELLA CAVERNA

Platone immagina che in una caverna vi siano degli uomini incatenati, costretti a guardare solo verso il muro che hanno davanti, dove si riflettono ombre di statuette. Dietro questi uomini ce ne sono altri, nascosti da un altro muro, che muovono le statuette le cui ombre vengono proiettate sul muro di fronte i prigionieri grazie all’ardere di un fuoco. Essi scambiano queste ombre per la realtà dato che non conoscono il mondo esterno. Se uno di loro riuscisse a liberarsi vedrebbe l’intero meccanismo che ha scambiato per la realtà. E se riuscisse ad uscir fuori dalla caverna, sarebbe accecato dalla luce del sole poiché non ne sosterrebbe la forza. Egli dovrebbe dapprima abituarsi a guardare le ombre degli oggetti, poi le loro immagini riflesse nell’acqua e in seguito le cose stesse e solo alla fine riuscirebbe a contemplare gli astri e il sole. Solo allora si accorgerebbe che il sole governa tutte le cose del mondo sensibile e che da esso dipendono tutte le cose che lui e i suoi compagni nella caverna.

Il simbolismo del mito, nella sua semplicità, è molto chiaro. Il mondo rappresenta il mondo sensibile nel quale viviamo; le catene rappresentano l’ignoranza che ci inchioda a questa vita; le ombre le credenze fasulle; lo scioglimento delle catene rappresenta la scelta di intraprendere la strada della filosofia; il mondo esterno la vera conoscenza. La conoscenza delle cose sensibili è come quella degli schiavi: falsa. Se lo schiavo che si era liberato torna nella caverna, i suoi occhi saranno offuscati dall’oscurità, non saprà discernere le ombre e i suoi ex compagni non crederebbero alle sue storie riguardanti il mondo esterno. Perciò egli sarà deriso e disprezzato dagli schiavi, i quali attribuiranno i massimi onori a colui il quale saprà vedere massimamente le ombre. Ma ormai l’ex schiavo, ormai diventato filosofo, sa che la vera realtà è fuori dalla caverna e che la vera conoscenza non è quella delle ombre. Il mito ci insegna quindi che l’uomo deve volgere le proprie considerazioni non verso il mondo sensibile ma verso la vera realtà, la quale per Platone è rappresentata dal mondo delle idee, delle quali l’idea del Bene (nel racconto, il sole) è la più importante.

THE TRUMAN SHOW

The Truman Show, film del 1998, ricalca quasi alla lettera il mito platonico. Il protagonista è Truman, interpretato da Jim Carrey, il quale sembra vivere una vita apparentemente perfetta nella tranquilla cittadina di Seaheaven. Una moglie bellissima, un buon lavoro, un grande amico e tutti gli vogliono bene. Truman non sa però di far parte del più grande reality show mai esistito, di cui egli stesso è il protagonista. Tutti, moglie, amici e colleghi sono attori; l’ufficio e la sua casa sono oggetti di una gigantesca scenografia. La sua intera vita non è altro che una finzione, la quale si svolge all’interno di un set televisivo. All’improvviso, il nostro protagonista si accorge che qualcosa non va. A causa di alcuni errori tecnici durante le riprese Truman prende coscienza di essere intrappolato all’interno di una prigione e decide di scappare. Con la sua barca vela arriva letteralmente ai confini estremi del suo mondo. Giunto all’orizzonte ultimo, il Dio del suo universo, il regista dello show, Christof, cerca di persuaderlo a non abbandonare il mondo che aveva creato per lui. Gli spiega che il mondo esterno non è migliore di quello che lui ha creato e che sarebbe al sicuro rimanendo a Seaheaven. C’è una frase che da sola riesce a spiegare l’essenza del film e insieme del mito della caverna: «Noi accettiamo la realtà del mondo così come si presenta». Questo è lo stato che caratterizza i non filosofi, gli schiavi che vivono incatenati all’interno della caverna. Essi, pur essendo costretti a guardare le ombre sul muro, si accontentano della loro condizione, non andando mai oltre le apparenze. Anche Truman ha vissuto una condizione simile ma ad un certo punto è diventato filosofo: egli spezza le catene della falsità e si avventura in un mondo sconosciuto ma vero. A differenza del filosofo platonico non farà più ritorno all’interno della caverna, congedandosi, con un inchino con la sua frase più iconica: «Caso mai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte».

“Bastano una serie di note, tutto il resto” è jazzare!

“Bastano una serie di note, tutto il resto” è jazzare!

Fin dall’antichità l’essere umano ha avuto bisogno di raccontarsi delle storie per interpretare la propria esistenza e ciò che lo circonda. La natura, la vita e la morte si manifestano come un insieme di immagini prive di significato e le storie, i miti per la precisione, appaiono come uno strumento per ordinare la realtà, per spiegare le contraddizioni dell’essere e le leggi della natura, per individuare le regole del bene e del male. La parola “mito” deriva dal greco mythos e vuol dire, appunto “storia”, “racconto”. Al proprio interno il mito contiene una trama con dei personaggi e delle vicende che si susseguono. Oggi, come in passato, per comunicare messaggi di difficile comprensione, si utilizzano dei racconti il cui fine ultimo è quello di giungere a significati più profondi. Dapprima si coglierà solo il lato formale del racconto ma poi, con il passare del tempo, si potrà giungere ai significati più reconditi. L’essenza del mito è quella dunque di far cogliere, attraverso il coinvolgimento emotivo, i principi ultimi dell’universo mediante la narrazione.

I miti e le storie appartengo alla tradizione dell’umanità fin dalla notte dei tempi. Dai miti greci alla Bibbia, dalle favole di Esopo alle fiabe dei fratelli Grimm, ognuno di questi racconti ha cercato di dare un senso al mondo in cui viviamo. Da questa prospettiva, i film possono essere considerati dei miti contemporanei. Se ci sono delle pellicole che alla fine ci fanno riflettere e porre domande sull’esistenza, allora svolgono con precisione il loro compito di mito. In questo senso, Soul, l’ultimo film della Pixar, disponibile sulla piattaforma Disney+ dal 25 dicembre, assume i contorni del mito. A partire da una storia semplice, il film si interroga sulla domanda esistenziale per eccellenza: “Qual è il senso della vita?”.

Protagonista del film è Joe Gardner, insegnante di musica insoddisfatto in una scuola media di New York che sogna di diventare, senza successo, un grande musicista jazz. Nel giorno stesso in cui gli viene assicurato il tanto aspirato “posto fisso” come professore (e con tutti i vantaggi che ne derivano come assicurazione, assistenza medica, pensione), riesce finalmente a conquistare il suo sogno: suonare in quartetto jazz assieme a una delle più grandi musiciste viventi, Dorothea Williams. Il suo scopo sembra essersi realizzato. Joe è così euforico che presta poca attenzione a dove cammina e finisce per cadere in un tombino. Improvvisamente si ritrova su una lunga passerella nera che scorre incessantemente verso una luminosa e indefinita sfera bianca. L’anima di Joe si è staccata dal corpo e quella sfera è l’Altro Mondo. Il musicista non vuole morire proprio ora che ha realizzato il suo sogno più grande e corre disperato cercando di trovare una soluzione. Nel tentativo di fuggire, Joe finisce però nell’Ante Mondo (detto anche “Io Seminario”), il luogo dove le anime dei futuri nascituri vengono plasmate nella personalità e educate alla vita dai mentori, delle illustri personalità che hanno saputo vivere e che le formano trovando loro una passione che le accompagnerà durante la vita sulla Terra.

Joe viene scambiato per un mentore e gli viene assegnata “22”, un’anima ribelle rimasta nell’Ante Mondo per millenni la quale non riesce a trovare la propria “scintilla” – lo scopo che le permetterà di incarnarsi in una vita nel mondo –, nonostante abbia avuto mentori illustri come Jung, Copernico o Madre Teresa di Calcutta. Joe e 22 stringono allora un accordo: lui avrebbe aiutato 22 a trovare la propria scintilla per poterla usare per tornare sulla Terra e poter suonare con la band.

È palese l’ispirazione del regista Peter Dector al mito di Er, narrato da Platone nella Repubblica. Esso racconta di un soldato valoroso morto in battaglia, originario della Panfilia, Er appunto, figlio di Armenio. Dopo che il suo corpo fu portato sul rogo per essere arso come da tradizione, tornò in vita e si mise a raccontare quello che vide nell’Al di là. Una volta uscita dal corpo, la sua anima si incamminò insieme alle altre arrivando in un luogo divino dove si aprivano due voragini in terra e due in cielo. Al centro di esse si trovavano i giudici, i quali ordinavano ai giusti di salire a destra in cielo e agli ingiusti di scendere a sinistra nelle profondità della terra. Gli stessi giudici ordinarono a Er di assistere e di riferire agli uomini ciò che accade nell’Al di là. Gli ingiusti venivano puniti con una pena che corrispondeva a dieci volte il male commesso. I giusti venivano premiati mediante la stessa proporzione. Concluso il periodo prestabilito dei premi e delle punizioni, che corrispondeva a mille anni, le anime ritornavano, attraverso le altre due voragini, al punto di partenza, dove rimanevano per sette giorni. All’ottavo giorno erano costrette ad incamminarsi al cospetto della Necessità e delle sue figlie, le Moire: Lachesi rappresentava il passato, Cloto il presente e Atropo il futuro. A quel punto un banditore prese dalle ginocchia di Lachesi i vari modelli di vita in numero maggiore rispetto alle anime presenti – e li schierò a terra ordinatamente. Qui Platone capovolge un fondamento nel quale l’uomo greco ha sempre creduto: la vita non è più soggetta ad un fato necessario al quale non è possibile porre rimedio. Il destino dipende dall’uomo perché egli stesso può scegliere il demone che lo accompagnerà per tutta la vita (eudaimonia, “benessere”, vuol dire appunto “essere accompagnati da un buon demone”). Ma così come può scegliere un buon demone, può sceglierne anche uno malvagio. Ogni anima, quindi, era chiamata a scegliere il proprio destino secondo un ordine prestabilito. Solitamente, le anime che provenivano dal cielo effettuavano scelte avventate perché erano inesperte di sofferenza, scegliendo ad esempio vite di tiranni, attratte dall’apparente felicità. Le anime provenienti dal basso sceglievano con giudizio le loro vite successive, memori delle sofferenze patite. La maggior parte delle anime sceglieva, però, in base allo stile di vita precedente: per esempio, l’anima di Odisseo, dopo aver vissuto un’esistenza travagliata, preferì scegliere la vita di un uomo tranquillo qualsiasi. Dopo la scelta, ogni anima riceverà da Lachesi il proprio demone; Cloto confermerà la scelta del destino; Atropo lo renderà immutabile. Successivamente, tutte le anime sono costrette a bere l’acqua del fiume Amelete, così da dimenticare l’accaduto (Lethe in greco vuol dire “dimenticanza”).

Il film sembra ispirarsi anche alla “teoria della ghianda” dello psicanalista americano James Hillman. Riprendendo Platone, ne Il codice dell’anima egli sosteneva che ogni individuo viene al mondo con una forma unica e irrepetibile che ci contraddistingue, il daimon, che chiede di essere realizzata per portare felicità nella propria vita. Questa forma è la particolarità che ogni essere umano porta dentro di sé, caratterizzata da quei talenti, passioni e attitudini predeterminati dal demone interiore ma che dimentichiamo al momento della nascita. Come la ghianda sboccerà e diventerà una quercia poiché ne racchiude il potenziale, così ogni individuo è destinato a realizzare il destino racchiuso nel daimon.

La scintilla del film sembra essere dunque ciò che Hillman introduce nella teoria della ghianda, lo scopo per cui ogni essere umano sembra destinato a compiere. Ma Soul va al di là delle teorie psicanalitiche e ci insegna che scintilla non è lo scopo. La passione e il talento non determinano necessariamente quello che dobbiamo essere. Saper fare una cosa, come saper suonare il piano o essere un campione di calcio, non vuol dire che quella cosa ci faccia star bene. Molte volte il talento può trasformarsi in vera e propria ossessione, determinando il distacco dalla vita. La scintilla è dunque la presa di consapevolezza che la vita non va vissuta per uno scopo ma con uno scopo, ossia assaporarne ogni istante. Quando, nel corso della trama, 22 si incarnerà per sbaglio in un corpo, tutte le sue ansie e le paure di vivere spariranno. Sperimenterà quanto può essere gustoso assaporare un pezzo di pizza appena sfornato, parlare del più e del meno con il barbiere, ascoltare con passione una canzone, lasciarsi trasportare dai colori e dagli odori dell’autunno. La scintilla appare solo quando si è pronti a vivere. «Magari la mia scintilla è guardare il cielo blu o camminare. Sono davvero brava a camminare!» afferma 22. Questa è la scintilla: vivere. Questo significa jazzare!