Abbecedario di provincia: lettera A

Abbecedario di provincia: lettera A

Le persone poi scavalcano i giorni che viviamo ogni giorno per andare altrove. Accade all’improvviso, spesso con le mani incrociate e gli occhi lucidi, tra facce stanche e sigarette spente dal nervosismo, le sirene blu dell’ambulanza che si confondono con il cielo che rimane impassibile e tuttavia meraviglioso. E non è la neve a fregarsene, ma la morte, che ti piglia anche se tu stai per conquistare una vittoria tanto attesa oppure quando ti senti pronta per quel bacio sperato da quando l’hai visto passeggiare con quella sciarpa rossa. Ed è inutile incazzarsi, è rabbia sprecata, noi siamo umani e nulla più.

Allora scriviamo, cantiamo canzoni e fantastichiamo sull’altrove perché quello ci rimane: la speranza che siano altrove. Magari un luogo dove non fai caso alla gentilezza e all’ottimismo, dove le poesie brutte sono comunque un atto di coraggio perché è coraggioso pensare che si possa imbrigliare ciò che fa rumore nell’anima in parole. E se chiudo per un attimo gli occhi – spero che il mio turno sia ancora ben distante – immagino l’altrove come una distesa di idee diverse che convivono pacificamente e poi lì c’è un trampolino, buttati che ti farai male ma sopravvivrai e sarai più forte di prima. Una banalità, ma quanto vorrei crederci anche mentre viviamo questa vita così fragile.

Sono certo, inoltre, che nell’altrove la polvere sul giubbotto non esiste, le cose vecchie non sono vecchie e tu non dovrai preoccuparti di rivoluzionare l’armadio e quanto sei bella con quel jeans a zampa di elefante. La preoccupazione del futuro è una sciocchezza lì e c’è bellezza persino in un addio, magari con sotto Frank Sinatra che canta il suo nuovo pezzo.

Sto vaneggiando, mozzico pensieri e grattugio razionalità soltanto per sentire questo cuore pesante più leggero, almeno per un minuto, almeno per un attimo, lo stesso che all’infinito continuo a vivere senza di te, che sei altrove e non altroqui.

Abbecedario di provincia: lettera P

Abbecedario di provincia: lettera P

Vorrei che ti sedessi un minuto accanto a me e che mi sorridessi a squarciagola perché solo così riesco a mettere a tacere tutte le mie piccole paure quotidiane.

Intanto, però, ti confido che ho paura – parola della settimana se non si è ancora capito – di non essere all’altezza degli altri e se a volte in mezzo alle persone mi vedi in silenzio non è poesia né riflessioni ma soltanto il terrore di non piacere ad un cazzo di nessuno. E poi ho paura dell’acqua alta ed è un timore che supera di gran lunga la voglia che ho di nuotare lontano fino a distanziare tutte le rotture di coglioni della spiaggia. Ed invece ogni anno mi ritrovo a combattere quei granelli di merda che si appiccicano alla pelle e a nascondermi da chi ha un fisico più atletico del mio. A riguardo, ho paura di non cambiare mai, di essere sempre lo stesso. A volte nel letto, la sera, fisso il soffitto e vorrei piangere. Non mi sono mai iscritto alla piscina, non ho mai frequentato la palestra con dedizione: lo vedi che non mi muovo in nessuna direzione?

Inoltre ho paura di morire. Ne ho parlato anche con la psicologa che mi ha dato delle spiegazioni che non ho capito perché intanto avevo il naso che colava e già mi vedevo intubato a qualcosa mentre un medico, scuotendo la testa, urlava di averne perso un altro. Ora che ci rifletto bene, però, mi sembra che mi abbia detto, la psicologa, che questa paura dovrebbe spingermi a fare qualcosa di costruttivo, magari provare a realizzare un mio sogno: solo chi ha coraggio deve temere la morte; per uno come me, fermo e pigro, la morte, infatti, sarebbe soltanto un premio.

Ma a questo punto ti stoppo e ti chiedo: e metti caso che si realizzasse qualche mia aspirazione? Non so come reagirei, quasi sicuramente avrei paura che quel frammento di felicità possa bruciarsi troppo in fretta. Quindi meglio stare fermi, immobili, in balìa degli eventi.

Infine, oltre ad avere paura dei nani e dei maranza, ho paura di non riuscire a riconoscere quando sarà il momento di mettersi finalmente in gioco. Qualcuno, forse un amico, mi disse che ogni attimo è giusto per lasciarsi tutto alle spalle e provare ad essere una persona probabilmente migliore, sicuramente diversa. Io tremo all’idea di non farcela però dentro di me so bene che la paura è sinonimo di “incominciamo a camminare e fa nulla se dovessimo bere un po’ di acqua salata ma sai che bello i cavalloni che ti azzannano le gambe e le risate degli amici ad accarezzare il mare”. Quindi ho un sacco di paure però è giunta l’ora di non allontanarle, ma di abbracciarle e provare a convivere prima che sia troppo vecchio per imparare a nuotare.

Ps: comunque non mi iscrivo in palestra.

Ora la tua unica religione è vincere e farlo anche il più presto possibile

Ora la tua unica religione è vincere e farlo anche il più presto possibile

Ormai vivo in attesa di morire. È la mia condanna per non aver raggiunto i traguardi nei tempi prestabiliti e per aver creduto, ad un certo punto, ai sogni. La società, questa società in cui sputiamo il sangue, in fondo ce lo ricorda tutti i giorni: conta vincere e bisogna farlo anche il più presto possibile. Quindi testa bassa e pedalare e non importa se devi imbrogliare, se devi massacrare la tua umanità: i tuoi obiettivi sono lì e la tua unica religione ti suggerisce di raggiungerli a tutti i costi. E non pensare neanche ai lacci sciolti, lo sai che non hai il tempo di fare un cazzo. Al massimo posta qualcosa su instagram così sazi la tua fame di dimostrare agli altri che sei una bella persona, impegnata e che magari scopa assai bene.

Quindi, sguardo in alto, petto in fuori e mettiti in cammino. Non badare ai morti di fame, è giusto che paghino per i loro fallimenti; scegliti un gruppo sociale dove bere qualcosa e non fare troppo domande su cosa succeda nel mondo mentre tutti noi pensiamo ad una rivoluzione; non mostrare emozioni a meno che non sia necessario per un post motivazionale perché sembra che un traguardo non valga se non lo si sbatte in faccia a tutti; tieni sempre a mente, infine, che ora sei un animale e devi sbranare tutto ciò che si muove tra i tuoi occhi ed il successo.

Potrai vivere giorni in cui ti mancheranno le incertezze, le canzoni da cantare chiuso nella tua stanzetta ma passeranno presto, te lo prometto. Lo vedi quel tale con gli occhiali e la camicia a quadri? È in attesa di morire perché non è riuscito ad uccidere quell’ansia di fallire che ci inoculiamo da soli ogni giorno e tu non devi fare la sua stessa fine. Mi raccomando, non piangere, non essere debole: ricordati che in palio c’è la tua sopravvivenza in questo mondo.   

La prima sfida da vincere per salvare la Terra

La prima sfida da vincere per salvare la Terra

Scriviamo queste poche parole mentre abbiamo ancora negli occhi le drammatiche foto dell’incendio gravissimo che ha devastato migliaia di ettari in Sardegna. Colpa dell’uomo, di noi esseri umani che soprattutto negli ultimi decenni abbiamo seriamente compromesso la salute del pianeta che ci ospita. La grave crisi climatica che attenta quotidianamente alla vita della Terra, infatti, è la prima sfida da vincere: anche perché, in caso di sconfitta (sempre più probabile, purtroppo) per tutti noi non ci sarà nessun futuro.

Per questo motivo, in questa settimana la nostra banda di #scarpesciuote proporrà una riflessione su cosa significa “crisi climatica” e su come la percepiamo, magari proponendo anche piccoli accorgimenti utili per rendere la partita contro la morte più aperta. Poi ovviamente sta ai potenti della Terra adottare provvedimenti drastici, ma nel frattempo è necessario modificare alcune abitudine dannose che ci caratterizzano. Ad esempio, gettare quei maledetti mozziconi di sigaretta nel cassonetto oppure prediligere una mobilità più sostenibile. Sembrano consigli scontati e banali, però sono gesti concreti che non hanno bisogno di attendere i grandi eventi internazionali. Confidiamo nella vostra partecipazione e, a riguardo, vi ringraziamo sempre per la passione con cui ci seguite.

Andrea Famiglietti

Antonio Lepore

E se ci penso bene ho avuto coraggio due o tre volte nella vita

E se ci penso bene ho avuto coraggio due o tre volte nella vita

Non ho granché da scrivere sul coraggio. Io sono una persona vigliacca e probabilmente l’unica botta di coraggio l’ho avuta quando un giorno bevetti tutto d’un fiato una bottiglia d’acqua ghiacciata. Ad eccezione di questo gesto che forse è più stupido che coraggioso, sono una persona piuttosto vigliacca. Però ricordo, a fatica e con dolore, che le tenni stretta la mano quando ogni eco di un suo respiro era un miracolo e con coraggio le mentì dicendo che ce l’avrebbe fatta. Il coraggio di mentire perché una bugia, a volte, è più necessaria della verità.

Forse, pensandoci bene, sono stato coraggioso anche quando confessai a me stesso che la vita, la mia, era diventata una fesseria. E aprendo i cassetti non c’erano più i sogni e le cose belle che mia nonna mi augurava ogni giorno, ma soltanto un’immensa noia travestita da tristezza. Il coraggio di ammettere che abbiamo bisogno di aiuto e ripartire, magari con qualche chilo in più e quegli occhi di chi è sopravvissuto ad un’onda che ha distrutto l’intera nave. Non siamo riusciti a portarla in salvo, però noi ci siamo e con pazienza la ricostruiremo.

E ci vuole coraggio, almeno un po’, anche a scribacchiare queste parole che domani o chissà quando diventeranno di un altro e verranno lette non con la mia voce ed in fondo scrivo proprio perché credo che questo passaparola possa infonderci coraggio a vicenda, soprattutto quando là fuori il mondo corre ad una velocità impressionante e persone lente come me, te, potrebbero andare in affanno. Intendo noi che ci perdiamo ancora appresso ad un sorriso fatto bene oppure a quella canzone che si è addormentata accanto a noi quella sera in cui il petto faceva male.

Non è chissà cosa il coraggio: è soltanto ascoltare bene il nostro cuore e dar fiato ai pensieri nella nostra testa (testone nel mio caso). E ci ritroveremo ad essere coraggiosi.