
A Torella dei Lombardi la notte tra il primo e il due novembre
In questi giorni pieni di confusione, il nostro tentativo è quello di ripercorrere attraverso i nostri brevi interventi tutto ciò che riguarda il ritorno a casa. Lo facciamo per chi in questo periodo sarebbe dovuto ritornare a casa, per chi non può ritornare nella propria terra, ai propri affetti.
Il calendario segna giorni importanti, in cui negli anni precedenti ci siamo abbandonati ai nostri itinerari e alla nostra ritualità. La visita ai nostri cari estinti è uno di quei ritorni, un ritorno alle radici, un ritorno a quello che eravamo.
Anche dal punto di vista autobiografico l’uno e il due novembre hanno, da sempre, assunto un significato particolare per la mia famiglia che in quei giorni si ricongiunge non solo ai propri cari, ma anche con la propria terra d’origine. Sin dalla mia infanzia ricordo i viaggi per raggiungere Torella dei Lombardi e Villamaina come un qualcosa di fantastico in cui era possibile ascoltare le numerose storie degli adulti e degli anziani. Proprio in uno di questi viaggi ho ascoltato una storia legata alle origini contadine della mia famiglia, ma anche al folklore e magismo irpino. Con questa nuova rubrica dal nome zepponta il mio intento sarà quello di lanciare brevissimi racconti (che prendono spunto da episodi autobiografici) relativi all’Irpinia e alle sue storie passate. La zepponta nel linguaggio comune viene utilizzata per indicare il nome del nonno o della nonna che viene dato al nipote o alla nipote e/o rappresenta un pezzo di legno o carta che viene messo sotto un tavolo traballante. In entrambi i casi rappresenta una forma di congiunzione tra il nuovo e il vecchio, tra il presente e il passato. Non mi resta che augurarvi una buona lettura di questo brevissimo racconto.

«Io non l’ho mai fatto, però Angiulella una notte ci provò…»
Aveva così rotto l’insolito silenzio di quel due di novembre, mentre in macchina ci stavamo dirigendo come nostro solito a Torella dei Lombardi. L’aria fredda di quel mattino era rimasta a lungo e non aveva accennato a dissiparsi nonostante il sole fosse ormai alto in cielo; in quella macchina eravamo gli stessi che ogni anno intraprendevano quel viaggio ed era proprio la zia di nostro padre a tenere banco con aneddoti divertenti che relativi alla sua infanzia.
Quel giorno però, aveva uno sguardo insolitamente riflessivo e in un attimo di silenzio con quella breve frase era riuscita a catturare l’attenzione di tutti i presenti.
«… si dice che ogni anno la notte tra o’ primo e o’ due novembre tutti i morti tornano indietro, sulla terra, e riprendono quella che era a vita loro. Ogni anno in quei giorni loro stanno vicino a nui. Io non l’ho mai provato, ma Angiulella, l’amica mia na notte ci provò, li voleva vedere. Si diceva che per vederli si doveva mettere ‘na bacinella chiena chiena[1] i acqua e una candela accesa, poggiarla ncoppa o davanzale e guardarci dentro. Io non l’ho mai fatto, però Angiulella una notte ci provò. Dopo che ebbe preparato il tutto e che ebbe acceso la candela posò lo sguardo nella tiana e improvvisamente si materializzarono tutti, erano i muorti…erano lì che camminavano in processione. Pe’ primi stivino i creature, poi tutti gli altri e infine i muorti accisi[2]…
Io non l’ho mai fatto, però Angiulella quella notta ci provò e li verivo».
[1] Piena, piena.
[2] Morti di morte violenta.
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