da Andrea Famiglietti | Ott 6, 2021 | Riflessioni
La tematica scelta per le successive due settimane racchiude in sé differenti letture: una prima potrebbe essere rappresentata dall’ormai sempre presente percentuale di difficoltà che mi costringe ad abbandonare le dolci e calme acque della comfort zone; una seconda la si ritrova nello stimolo ad estrema e più approfondita riflessione che si accompagna a questa difficoltà ed infine la terza rappresenta l’opportunità di ritornare direttamente su una mia esperienza di campo, tutt’altro che conclusa.
Partendo da alcuni lavori precedenti comparsi su Scarpesciuote, ho deciso di approfondire la questione dell’identità reale e quella percepita sotto un altro punto di vista. In precedenza era stata la provincia stessa oggetto di una mia riflessione su quella che era l’identità percepita a scapito di quella reale. In questo caso, mi concentrerò su i giovani all’interno del contesto provinciale.
Non è difficile immaginare qual è il tipo di rappresentazione egemone all’interno dei contesti cittadini e provinciali.
In realtà piccolo borghesi e annoiate, come quelle in cui ci troviamo a trascorrere le nostre esistenze, i più giovani, vengono rappresentati come un corpo alieno di cui si sa ben poco e si vuole sapere altrettanto.
Al dispetto di una piccola parte che cresce assecondando i consumi imposti dalle nostre realtà, come il bar o il centro scommesse, la stragrande maggioranza preferisce passare il tempo in strada.
Una soluzione non contemplata da gran parte dell’opinione pubblica. Un consumo del tempo libero, alternativo, che viene percepito come il seme della violenza cittadina. La stessa forma di violenza che è aumentata in seguito a questi anni di restrizioni dovute dalla pandemia.
Da qualche mese a questa parte sto avendo modo di ascoltare molti giovani, miei concittadini, molti dei quali non frequentatori assidui di bar e centri scommesse, ma frequentatori delle strade e delle piazze che mi hanno raccontato e mostrato il loro modo di vivere e di considerare la città.
Hanno idee, opinioni e progetti e nessuna di queste contempla la distruzione dei centri urbani, persino quelli più critici.
Continuano ad essere percepiti come un oggetto estraneo dall’intera comunità e continuano a vivere questa condizione con malessere.
Una condizione destinata a perdurare fino a quando, nelle nostre comunità, non riusciremo ad abbandonare questo nostro pregiudizio e non riusciremo ad andare oltre per vedere la reale identità dei tanti giovani che percorrono le strade delle nostre realtà.
da Antonio Lepore | Set 9, 2021 | Riflessioni non richieste
Avrei voluto scrivere un pezzo commovente sull’amore. Poi, però, il maledetto signor Spotify ha scelto come colonna sonora di questa fredda sera “Maniac” di Michael Sembello. Allora ho indossato la fascia da palestra e ho incominciato a saltellare come un forsennato. All’inizio ho sudato come un maiale poi ho sentito le gambe sempre più elastiche e mi sono accorto di poter fare cose incredibili, tipo staccarmi da terra di almeno dieci centimetri e addirittura non avevo neanche più vergogna di guardarmi allo specchio. La stessa faccia che fino a ieri mi procurava vomito e rabbia adesso era l’unica che desideravo sul mio collo. Persino il grasso in eccesso mi è apparso come un vestito da festa, sai di quelli belli che ad un matrimonio ti aiutano a strappare complimenti anche dalle immancabili facce di cazzo. Ed è questo l’amore: un momento privo di razionalità ma necessario per avvicinarsi ad una precaria felicità.
Quando c’era il freddo di fine estate e scorsi un treno in lontananza che sbuffava al cielo. Io avevo appena detto addio ad una compagna di classe di cui ero innamorato. Ed ero triste, tanto triste. E lì, su quella panchina, scrissi la mia prima roba. C’era amore in quell’istante – per un sogno che sta ancora qui accanto a me – nonostante la triste certezza di non poter più riassaporare le sue labbra sapore Labello.
Quando calpestai la prima volta un marciapiede di Atripalda, purtroppo o per fortuna la mia città. La nebbia, l’umidità che ammazza le ossa, e poi gli amici. Attraverso l’amore che provo per ognuno di loro ho scoperto che nella nebbia ci si può giocare a nascondino e che un piccolo centro favorisce gli abbracci più forti. E soprattutto grazie a questo amore ora so sempre dove stanno le montagne. Ed io mi sento protetto anche quando la sabbia scotta troppo.
Quando ho vissuto il dolore più forte della mia vita e all’improvviso in casa entrò un sacerdote impazzito. Sembrava un incrocio tra un personaggio scritto dal miglior Verdone ed un cantautore folk caduto in disgrazia. In mezzo a tante lacrime vidi lei, la mia compagna, ridere di gusto e non sa che in quel momento mi ha fatto la dichiarazione d’amore più bella che ci possa essere: ovvero mi ha dedicato un momento privo di razionalità ma necessario per avvicinarmi ad una precaria felicità nonostante la tempesta.
da Antonio Lepore | Gen 1, 2021 | Riflessioni non richieste
È stato un anno necessario. Innanzitutto per comprendere quali siano gli affetti stabili, ovvero gli occhi e le parole per cui vale la pena trasformarsi in fini giuristi e rischiare multe, denunce, post denigratori sui social, gogna mediatica da Barbara D’Urso, che tu casomai corri per i cazzi tuoi (e si può ancora fare) e ti ritrovi il drone della Polizia e gli inviati televisivi dietro di te e non sai se sei l’inconsapevole protagonista del sequel di “Forrest Gump” oppure che tutti noi abbiamo perso un po’ la bussola.
Un anno necessario per accorgerci, aggiungerei per l’ennesima volta, dei gravi problemi che affliggono il nostro bel stivale, che ormai ha una misura sbagliata per i nostri piedi che desiderano un presente dignitoso ed un futuro magari carino, sai tipo il remake di “Natale in casa Cupiello”, che lo vedi e dici “Potrebbe andare, ho vissuto di peggio”. Quindi, non stiamo chiedendo la luna, anzi come ci hanno mal abituato stiamo rivedendo al ribasso le nostre aspettative, però dai, almeno un minimo sforzo da parte della Politica. Tuttavia, noto tristemente che per “loro” i problemi sono altri. C.I.A.O.N.E !
Un anno necessario per accorgerci, direi con colpevole ritardo, dell’importanza fondamentale dell’Istruzione e della Cultura. Riaprite le scuole, anche domani, perché questa guerra, e quelle che verranno, si vinceranno con la scienza e la poesia, e non con l’esercito, i lanciafiamme, i bonus, Mario Giordano. È necessario che i laureati presso la strada ritornino ad affollare i bar discutendo di minchiate, perché ascoltare idiozie sui vaccini, ad esempio, è peggio che affrontare il virus stesso. Se sei una capra devi belare. Non puoi e non devi fare altro. E poi, sì, ovviamente con le adeguate misure di sicurezza, vorremmo ritornare a sognare di essere il protagonista di un gran film o di una pièce teatrale, avvertiamo l’esigenza di ricominciare a sognare, anche soltanto per un’ora e mezza. In questo Paese in ginocchio, non toglieteci persino l’arte.
Un anno necessario – e vi giuro che poi smetto di rompervi i coglioni – per alzare la testa ed accorgerci che aiutandoci l’uno con l’altro si può almeno ferire qualsiasi mostro. Un anno in cui abbiamo salutato tanti piccoli pezzi del nostro cuore ed è necessario anche questo, abbracciarsi al dolore e, magari anche bestemmiando, non smarrire la forza per vivere anche per loro. Che poi questo stramaledetto virus ci ha impartito soprattutto una lezione: la vita. Poi tutto il resto si risolve.
Commenti recenti