da Fabiana Carcatella | Ago 27, 2021 | La raccomandata
Cara Fabiana,
Il 15 agosto metà delle persone nate dalla parte fortunata del pianeta era al ristorante, l’altra metà probabilmente con le chiappe nell’acqua. Intanto a Kabul, la presa del potere da parte del talebani. E, diciamoci la verità, alla maggior parte degli occidentali, semmai tra un selfie e l’altro fosse mai giunta la notizia in tempo reale, non credo gli si sia guastata la giornata, il boccone non gli è andato di traverso. Compresa me.
Ci sono voluti giorni e immagini di dolore a invadere social e tg per provare un minimo di sconvolgimento. No, sconvolgimento non è la parola adatta. Lo sconvolgimento non può tradursi in un “mammamia, povera gente”. Eppure, è proprio questo il massimo che noi comuni mortali fortunati riusciamo a fare: provare commiserazione per un bambino lanciato oltre il filo spinato e, un attimo dopo, tornare a farsi la manicure.
Lo so, le mie parole sono come quel filo spinato, ma oltre ad esse, purtroppo, non vedo la stessa possibilità di salvezza. Eppure, io sono salva perché vivo in un Paese in cui sono libera, libera di esprimere il mio pensiero, libera di essere me stessa.
Dovrei esserne felice? Sì, sono grata per questo, ma, al contempo provo disagio.
Navigando su internet sono tanti gli articoli in cui si proclama il fallimento della democrazia o si parla dell’impossibilità di esportare la democrazia lì dove non vi è mai stata.
Che ci troviamo di fronte a un fallimento della democrazia è palese, ma dichiarare che non tutti abbiano diritto ad avere diritti mi sembra un’eresia.
C’è sempre una prima volta, in tutto. E poter solo lontanamente credere che un essere umano non abbia il diritto di essere libero o uguale ad un altro essere umano solo perché così non è stato mai, mi sembra tutt’altro che democratico.
Per chi non avesse ancora chiaro il concetto, tra i principi fondamentali della democrazia vi sono proprio quelli di libertà e uguaglianza. Quindi, se sei un uomo libero in un Paese democratico e nella tua testa galleggiano pensieri del tipo “le donne lì sono abituate ad essere considerate una minoranza” e magari qualche urlo in testa lo dai pure a tua moglie, io qualche domanda me la farei. Sempre se sei in grado di porti domande.
Io, nel frattempo, cerco di dare un nome a quella sensazione che mi assale quando realizzo che apparteniamo alla stessa natura e condividiamo lo stesso unico mondo solo in teoria. Nel concreto vedo tanti piccoli mondi che si ignorano oppure si fanno la guerra.
A livello macro la democrazia somiglia tanto a quell’abito dei sogni che compri a tutti i costi, anche se ti va stretto. Ogni tanto provi a indossarlo, ma non puoi tenerlo troppo a lungo.
A proposito, per quella sensazione di cui ti parlavo, l’unica parola che mi viene in mente è disagio.
da Antonio Lepore | Ago 26, 2021 | Riflessioni non richieste
Io non ho studiato e neanche ho la voglia di infilarmi in un discorso sulla complessità del processo democratico. In fondo fuori ci sono gli ultimi scampoli dell’estate e vorrei trombare. Però, una cosa la vorrei scrivere: siamo stati culati.
Dai, parliamoci chiaro. Se fossimo nati in Afghanistan avremmo avuto soltanto una scelta: morire per mano del potentissimo occidente oppure essere sgozzati da una banda di controfigure di Borat. È questa la democrazia riservata a questo angolo di mondo: la libertà – e neanche tanto – di scegliere da chi essere ammazzati. Noi, invece, abbiamo ereditato le vittorie dei nostri nonni e quindi comodamente seduti nei nostri salotti esclusivi tra flûte di champagne e sardine come antipasti discutiamo su come dialogare con i talebani oppure su come innescare un processo di accoglienza dei profughi (un premio di 1 milione di euro a chi riuscirà a spiegare ai poveri cristi come me che cazzo significa).
Secondo me non ci stiamo rendendo conto che l’eredità finirà prima o poi, così come il culo di cui sopra. Anzi, penso che i conti siano già in rosso: in fondo la maggior parte del popolo è nauseato dal potere e quindi sta venendo meno il principio della democrazia, ovvero milioni di cittadini lontanissimi da chi prende le decisioni che condizioneranno inevitabilmente la nostra vita. Le colpe, poi, sono di entrambe le parti in causa: le nostre, troppo impegnati a combattere contro una vita di merda oppure a discutere in tivvù mentre le piazze (già prima del Covid) sono riservate agli aperitivi; dei politici, che una volta eletti si chiudono nelle loro stanze ed “io sono io mentre voi non siete un cazzo”.
Vi parlo della mia città, Atripalda. Anche qui la democrazia, per come l’abbiamo studiata fin dalle elementari, scricchiola e non poco. Cioè, in diversi processi decisionali fondamentali per la comunità non è stato coinvolto nessun cittadino. So che sembra populismo e forse lo è, ma dico io non è possibile fare un sondaggio e vedere cosa pensa la città su di un determinato fatto?
Non so se sono stato chiaro ma credo che siamo stati culati a nascere in un Paese dove almeno non ti ammazzano ma sono altrettanto consapevole che questa fortuna noi non la stiamo meritando (sicuramente meno rispetto a quegli esseri umani che disperatamente si aggrappano alle ruote di un aereo diretto verso Ovest).
da Antonio Lepore | Ago 24, 2021 | Editoriale
Si può esportare la democrazia? È questa la domanda che ci siamo posti assistendo impotenti a ciò che sta accadendo in Afghanistan, terra stuprata mortalmente dall’arroganza e dall’avidità occidentale. Gli americani, da sempre, hanno risposto di sì a questo quesito. Dopo il passaporto per le armi, il cibo spazzatura, Hollywood, il popolo a stelle e strisce ritiene che il traffico di democrazia sia possibile, anzi necessario per risollevare le sorti di un Paese. Altri, invece, credono che la democrazia è un processo troppo lento e doloroso e che non può essere semplicemente imposto attraverso l’utilizzo delle armi. E che l’errore più grave commesso – ad esempio proprio in Afghanistan – è quello di aver ignorato la storia di un popolo fortemente condizionato dalla religione e da codici comportamentali radicati come l’aria.
Dopo la pausa estiva, la nostra banda di #scarpesciuote proporrà quindi una serie di riflessioni sulla democrazia e sulla reale possibilità o meno di esportarla. E lo farà tenendo sempre davanti agli occhi le crudeli immagini di mani speranzose aggrappate alle ruote degli aerei occidentali, di madri che hanno affidato i propri figli ai soldati nella speranza che possano avere un futuro migliore del proprio.
Antonio Lepore
Andrea Famiglietti
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