Il passato mai dimenticato

Il passato mai dimenticato

Ci capita spesso di pensare al nostro passato, a quelli che sono stati gli anni della nostra infanzia o dell’adolescenza. A volte ne siamo coscienti e altre volte lo abbiamo fatto senza rifletterci troppo.

Col tempo è diventato un esercizio individuale che abbiamo sviluppato nei momenti di difficoltà, quelli che ci costringono a trovare rifugio in momenti e tempi in cui tutto sembrava andare bene. Allo stesso tempo lo abbiamo trasformato in una pratica collettiva, comune, addirittura mediatica.

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le pagine social, le community che riuniscono appassionati e nostalgici dei decenni scorsi e che hanno come centro il calcio, i giochi, vestiti e via dicendo.

Senza scomodare altri tipi di nostalgia, abbiamo deciso di affrontare questa tematica cercando di comprendere il perché di questo nostro atteggiamento. Sicuramente ci ritroveremo a dover fare i conti con una pratica che ci porta ad idealizzare un mondo ormai trasformato e ci riporta a desiderarlo ardentemente.

Ma proprio partendo da questa tendenza proveremo a rispondere sul perché ci ritroviamo a mettere in campo determinati atteggiamenti che ci portano a considerare il passato, socialmente e culturalmente migliore di quello attuale.

Seguiteci e non ve ne pentirete.

Antonio Lepore

Andrea Famiglietti

A chi figlio a chi figliastro…

A chi figlio a chi figliastro…

Un antico detto che abbiamo avuto modo di ascoltare spesso nel nostro viver quotidiano è stata l’espressione colorita e gergale che ci è venuta in soccorso quando ci siamo ritrovati a commentare quanto accaduto lo scorso 6 gennaio a Capitol Hill.

Certo ci saremmo, e forse avremmo, dovuti abbandonare ad un’analisi più profonda di quanto successo in quel giorno a Washington, ma un po’ per la pioggia battente, un po’ per la zona arancione che non permette altro che fugaci incontri, non abbiamo avuto altro modo se non quello di affidarci a questo detto che dalle nostre parti viene utilizzato anche con troppa leggerezza.

Così mentre l’umido inverno avellinese ci mostrava il suo lato piovoso (e forse peggiore) abbiamo cominciato a riflettere su i tanti se e i pochi ma che quell’episodio aveva suscitato in gran parte dell’opinione pubblica. Rifiutando il più grande errore che un altro detto ci consegna, ovvero che la storia non si fa con i se e con i ma, abbiamo avuto modo di riflettere più in generale sulle tante differenziazioni a cui spesso assistiamo, che spesso viviamo e a cui spesso ci ritroviamo ad essere incolumi fautori.

Una su tutte ci ha sempre interessato e rappresenta uno dei tanti perché che ci ha spinto a intraprendere l’avventura di Scarpesciuote ed è la relativa dicotomia centro – periferia, meridione – settentrione. In questi mesi ci siamo mossi in un terreno di accentuata coscienza delle problematiche che ci circondano e che viviamo, senza cadere nell’infantile neoborbonismo dei tanti e ai loro continui richiami ad un periodo d’oro artefatto. In questi mesi abbiamo cercato di analizzare le contraddizioni che ereditiamo per questioni geografiche, sociali e culturali e di cui siamo vittime e carnefici.

Quindi vorremmo parlare di queste contraddizioni attraverso il racconto delle nostre realtà politiche, sociali e culturali che ci hanno accompagnato e che abbiamo avuto modo di scoprire mettendo a paragone le nostre vite con quelle degli altri nostri coetanei che sono cresciuti e che continuano a crescere in contesti urbani e sociali differenti e in questo caso più centrali delle nostre.

Per questo ritorniamo al punto di partenza e per queste due settimane ci vogliamo chiedere chi siamo noi? Figli o figliastri?

Antonio Lepore

Andrea Famiglietti