da Andrea Cerrito | Dic 20, 2021 | Lo sbriglialacci
La fine dell’anno è il consueto momento in cui tutti noi ci troviamo, in un modo o nell’altro, a fare un bilancio di quanto portato a termine fino a questo punto. La fine dell’anno coincide con la Natività: la fine di un’epoca e l’inizio di un periodo storico tinto di fulgido ottimismo, vista la nascita del figlio di Dio. Si potrebbe affermare che la seconda frase spiega la prima: la religione cristiana che fa parte del nostro bagaglio culturale ci suggerisce che un anno è passato e quello che sta per iniziare dovrà essere migliore del precedente.
La componente culturale, quindi, gioca un ruolo molto importante nel determinarci ad essere migliori. Ma non è l’unico fattore in campo. Esiste, infatti, una spinta impercettibile, attiva fin dalla notte dei tempi. Per provare ad afferrarla bisogna chiedersi come ha fatto una scimmia, centomila anni fa, ad evolversi fino a diventare l’umanità mentre le lucertole, ad esempio, sono così da quando i padroni della Terra erano i dinosauri. La differenza tra queste due specie, tra le tante, risiede nella motivazione a migliorare la propria capacità di agire sugli elementi a proprio vantaggio. Le altre specie è come se, a un certo punto della loro evoluzione, si fossero accontentate del loro grado di adattamento all’ambiente. Noi invece siamo ancora spinti da quella forza ancestrale che, migliaia di anni fa, ci fece scoprire le potenzialità del fuoco, oggi ci porta a fruire dei vantaggi connessi all’evoluzione della banda larga. Un aspetto così radicato da potersi considerare inscritto nel DNA umano.
Alla base dell’infinito ottimismo di fine anno ci sono due fattori fondamentali, uno di tipo culturale e l’altro di tipo “genetico”. L’unione di queste due componenti crea una sorta di brodo primordiale dal quale emergono tutti i processi psicologici che sono frutto, a loro volta, del continuo intreccio tra componenti ambientali e genetiche individuali. Questo è quanto insegna un detto, non proprio popolare, che recita “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi“: lo sviluppo del singolo individuo riprende le vicende affrontate nel corso dell’evoluzione della specie.
L’ottimismo di fine anno, in altre parole, è dovuto alla nostra voglia di migliorarci. Un qualcosa che ci appartiene come singoli individui e come specie. Fare una stima di ciò che si vorrebbe portare a termine l’anno prossimo, fra l’altro, assolve ad un compito legato alla propria autostima: pensarsi capaci di fare così tante cose con 365 giorni a disposizione per raggiungere i plurimi obiettivi, ci restituisce l’idea di essere in grado di farlo. E poco importa se, nel corso dell’anno venturo, riusciremo a fare solo una delle dieci cose che ci eravamo ripromessi. Nel frattempo saranno sorti centinaia di imprevisti, migliaia di banalità che richiederanno tempo e milioni di nuove cose da dover portare a termine.
Per cui complimenti a noi, che nonostante il mondo continui ad andare a rotoli, anche se dovremo portare a termine qualcosa che richiede un mese in una settimana, ci saremo ricordati di quella promessa fatta a noi stessi alla fine dell’anno scorso e saremo stati in grado di portare a termine uno dei tanti obiettivi che, ingenuamente, ci eravamo ripromessi di compiere.
Auguri di buona “lista delle cose da fare”.
da Andrea Cerrito | Dic 5, 2021 | Lo sbriglialacci
Il termine mappa nel contesto della psicologia rimanda immediatamente ad una specifica area di indagine della (neo)scienza psicologica, vale a dire quella del cognitivismo. A sua volta, la psicologia cognitiva studia soprattutto la mente razionale, quella parte di psiche di cui abbiamo completa consapevolezza, anche se non sappiamo il processo con il quale la conoscenza cognitiva si costruisce.
Ebbene, si può tranquillamente affermare che ogni pensiero razionale utilizza uno specifico tipo di mappa. A differenza delle classiche cartine geografiche che ci affanniamo a leggere quando in viaggio in una città sconosciuta, le mappe mentali non riproducono fedelmente ciò che la nostra vista ha catturato; una mappa mentale si forma grazie all’utilizzo di tutti e 5 i sensi e, per questo, forma una rappresentazione di ciò che abbiamo visto, udito, toccato e assaporato. A queste informazioni “ambientali”, inoltre, si aggiunge un altro tipo di informazioni che derivano non tanto da ciò che abbiamo registrato con i nostri sensi e rappresentato nella nostra mente. In automatico, infatti, la mente umana associa un’emozione ad ogni informazione assimilata dall’esterno; le emozioni associate “distorcono” sensibilmente le informazioni catturate dall’esterno in modo particolare: se durante un viaggio ci ha emozionato visitare una piazza o un museo in modo forte (bello o brutto che sia), avremo una mappa più dettagliata e “grande” di quel luogo, mentre luoghi visitati di fretta o senza interesse avranno uno spazio più “piccolo” nella nostra mappa mentale. Insomma, la scala della mappa mentale non è omogenea come quella delle cartine geografiche ma varia in base alla forza delle emozioni che associamo ai diversi luoghi che visitiamo e si compone anche di suoni, odori e sensazioni tattili.
Come detto, però, non utilizziamo delle mappe solo per rappresentarci un luogo ma usiamo gli stessi meccanismi per immagazzinare qualsiasi tipo di informazione, astratta o concreta che sia. È questo il caso delle mappe concettuali, fondamentali per raccogliere, costruire e ricordare i nostri pensieri. Una mappa concettuale è una rappresentazione dei nostri pensieri; ci sono pensieri che ci rappresentiamo nella nostra mente sotto forma di vere e proprie frasi, pensieri che non sono rappresentabili a parole e quindi vengono immagazzinati sotto forma di immagini, o per meglio dire di scene (filmati piuttosto che foto), pensieri, infine, che nemmeno le immagini riescono a cogliere e quindi vengono rappresentate sotto forma di sensazioni (ad esempio sentimenti, ricordi lontani nel tempo). Tutti questi tipi di pensieri possono essere considerati come i nodi di una rete e, presi separatamente, non avrebbero un senso compiuto, come se mancassero di un pezzettino; il passaggio da pensiero a concetto avviene grazie al tipo di collegamento che effettuiamo tra i diversi pensieri. Il tipo di collegamento tra pensieri determina da sé il senso di un certo concetto mentale e lo stesso pensiero può essere utilizzato per costruire il significato di diversi concetti.
I collegamenti tra i pensieri non vengono creati consapevolmente ma sono l’esito di complessi processi mentali che, in poche parole, coinvolgono tutte le varie funzioni mentali come memoria, attenzione e affetti e fanno sì che un pensiero colleghi due o più nodi della rete menzionata prima. Non a caso il nostro cervello funziona grazie al collegamento dei neuroni che lo compongono e che prende il nome di rete neurale.
La mappa mentale, quindi, organizza la vita mentale, non riproduce fedelmente la realtà ma ne crea delle rappresentazioni personali e uniche per ogni individuo e può essere considerata una specie di rete molto fitta, come quella dei tessuti. E proprio come accade nei maglioni, quando il collegamento tra due nodi è fatto male o ne collega parti “contraddittorie”, iniziano a venir fuori i difetti.
da Andrea Cerrito | Nov 23, 2021 | Lo sbriglialacci
Che cos’è il fallimento?
Una persona decide di fare qualcosa, questo qualcosa ha un obiettivo da raggiungere e per raggiungerlo, appunto, fa delle azioni mirate al soddisfacimento dell’obiettivo. Dopo aver fatto qualcosa la suddetta persona valuta se ha raggiunto l’obiettivo per cui ha intrapreso la serie di azioni messe in pratica per cui, dopo averci ragionato su, percepisce di aver raggiunto l’obiettivo o di averlo mancato, la quale ultima ipotesi ricede appunto nel fallimento.
Messa in questi termini, il fallimento è l’esito di una serie di azioni finalizzate al raggiungimento di obiettivo, la peggiore delle due ipotesi possibili: fallire o riuscire. Una volta presa consapevolezza dell’esito delle proprie azioni, la persona in questione sa se quello che ha fatto è stato utile per sé o meno. Questa consapevolezza, di per sé, non ha un significato predefinito a priori ma viene riempita di significato dalla persona stessa. Il significato derivante può prendere due traiettorie tra loro opposte ma non per questo incontrovertibili. Dopo aver capito di aver fallito, infatti, viene sempre il momento delle riflessione su cosa sia andato storto, ed è questo il momento in cui si può andare verso l’una o l’altra delle traiettorie mentali possibili, avendo sempre la possibilità di invertire la rotta verso l’altra delle traiettorie.
Dicevamo delle traiettorie: queste sono essenzialmente l’arricchimento o la rimuginazione. Se la prima traiettoria deriva dalla riflessione su quanto accaduto e dal suo superamento attraverso la costruzione di alternative tramite l’aver imparato dagli errori, con la rimuginazione accade qualcosa di differente. Rimuginare sulle proprie azioni consiste nel ritornare, mentalmente, su quanto compiuto e soffermarsi sulla sua natura negativa. Questo soffermarsi diventa qualcosa di ripetitivo e insistente, al punto da tingere di negativo anche qualcosa che prima non lo era. La negatività che si abbatte sulle proprie azioni determina una visione di se stessi brutta, svalutata, ci rende incompatibili con le relazioni tra persone. E inoltre, la rimuginazione è un circolo vizioso: non ha vie d’uscita perché essa stessa rappresenta la via d’uscita a qualcosa di più profondo.
Chi rimugina, infatti, non si ritiene degno di essere perdonato: reputa che le azioni che ha commesso siano troppo malvagie e per questo merita solo sdegno. Ciò affonda le sue radici nel passato remoto individuale ma più che parlare di questo è utile comprendere come uscire dal circolo vizioso e prendere la traiettoria alternativa alla rimuginazione, ossia l’arricchimento personale. Questo è possibile ma non semplice, e richiede sempre qualcuno che ci supporta, sia esso un buon amico, un fidanzato o una fidanzata o uno psicologo.
Per rendersi conto di meritarsi il perdono per quel che si è fatto, è necessario riprendere qualcosa a cui, per colpa della rimuginazione, si è perso di vista, vale a dire l’obiettivo che si voleva raggiungere. Chi rimugina, infatti, prova una specie di piacere masochistico a commiserarsi e dimentica il motivo per ci aveva messo in pratica quella serie di azioni tanto deplorevoli. È come se ricordare di aver fatto qualcosa per un fine facesse perdere alla rimuginazione il piacere di autocommiserarsi.
Riprendere possesso dell’obiettivo a cui si mirava significa ricordarsi di aver voluto qualcosa e di aver provato a raggiungerlo. Ciò implica rendersi conto di aver potuto fare altro e apre alla riflessione costruttiva che porta a riconoscere i propri errori e, in seguito, a trovare la giusta via per evitare di commetterli in futuro. In poche parole serve ad arricchire il proprio bagaglio esperienziale per affrontare nuove sfide in futuro.
D’altra parte si sa, sbagliando s’impara! E solo chi sbaglia si concede il lusso di imparare.
da Andrea Cerrito | Nov 8, 2021 | Lo sbriglialacci
L’argomento che con la redazione di Scarpesciuote stiamo affrontando in questi giorni si rifà ad un costrutto fondamentale della mente umana: la funzione riflessiva. Questa funzione mentale è forse l’elemento che più distingue la specie umana dalle altre specie animali.
La funzione riflessiva permette alle persone di capire meglio se stessi tramite la comprensione degli stati mentali di chi ci si trova di fronte. Se l’empatia si riferisce a quella condivisione di emozioni che ci permette di cogliere l’affetto dei nostri interlocutori e di sperimentarlo su noi stessi, la funzione riflessiva si estende anche a caratteristiche più razionali dell’esperienza mentale altrui come, per esempio, le motivazioni e i pensieri associati agli affetti. Il processo mentale che si riferisce alla funzione riflessiva è definito mentalizzazione e rimanda all’idea di comprendere la mente dell’altro che si riflette nella nostra in tutti i suoi aspetti cognitivi e affettivi.
La funzione riflessiva è un costrutto mentale che non si acquisisce dall’oggi al domani ma si costruisce a partire dalle prime interazioni che si hanno a partire dall’età di sei mesi di vita. A questa età, i neonati credono che il mondo interno e quello esterno siano equivalenti, questo vuol dire, ad esempio, che non concepiscono la fame come qualcosa che viene da dentro di sé e che quindi è necessario mettere qualcosa nello stomaco (il latte materno), credono che un agente esterno li stia attaccando e gli stia inducendo malessere. Allo stesso tempo credono che la sazietà non derivi dall’introdurre cibo nel proprio corpo ma che il contenimento generato dall’essere accudito dalla madre estingua quella sensazione spiacevole che creava angoscia (e prima credevano che quella stessa angoscia era colpa della madre che non c’era). Per far fronte a queste angosce impensabili per noi “grandi”, i neonati “fanno finta” che i propri stati mentali stiano al loro esterno e possono essere manipolati con le mani e con i piedi: è per questo che li vediamo intenti a pestare e tamburellare la qualsiasi, utilizzando i giocattoli nei modi più impropri e disparati possibile. Il mondo mentale dei lattanti come evidente, è molto diverso da quello degli adulti ma non per questo meno complicato: i neonati vivono in uno stato mentale simile alla schizofrenia, la differenza con quest’ultimo è che si evolve verso forme più integrate di pensiero mentre la malattia mentale può essere considerata, in un certo senso, come il ritorno a forme di pensiero arcaiche, proprie delle prime fasi di vita.
Difatti, il mondo interno del neonato evolve col passare del tempo grazie alle continue interazioni con le persone che lo accudiscono. Queste interazioni si accompagnano ad uno sviluppo delle diverse abilità fisiche e mentali in parallelo; allo sviluppo degli organi deputati all’emissione dei suoni e alla crescita delle connessioni neurali nel cervello, ad esempio, si sviluppa la capacità di dire parole che, man mano, assumono un significato sempre più specifico. L’insieme dello sviluppo psichico e fisico, dunque, permette al neonato di considerare nello stesso momento quelle sensazioni che prima divideva attraverso l’equivalenza del mondo interno a quello esterno e tramite il gioco del “far finta”. A 4 anni, infine, il bambino è capace di concepirsi come possessore di stati mentali.
Il passo successivo è quello di riconoscere la stessa capacità nelle persone che gli gravitano intorno attraverso la continua interazione con le persone. Interagendo con adulti e bambini, il nostro frugoletto si rende conto che anche gli altri hanno degli stati mentali e che questi ultimi, inoltre, possono avere caratteristiche simili ai suoi stati mentali e altre diverse che, man mano, impara a gestire e utilizzare come regolatori dei propri stati mentali. La funzione riflessiva è questo: regolare i propri stati mentali attraverso il confronto con quelli altrui. Riconoscersi in questo modo ci da la possibilità di capire meglio come noi stessi funzioniamo.
Relazionarsi con gli altri ci permette di conoscere meglio noi stessi, nel bene e nel male. La socialità, positiva o negativa che sia, è alla base della crescita e dello sviluppo della nostra persona.
da Andrea Cerrito | Ott 27, 2021 | Lo sbriglialacci
Il futuro è una dimensione ignota e indefinita per il significato stesso della parola. Anche le persone più convinte dei propri mezzi non possono sapere con certezza quello che il futuro gli prospetta e per quanto ci si possa sforzare a programmare e anticipare le proprie azioni, c’è sempre qualcosa di imprevisto che complica o facilita il tutto, nel migliore dei casi.
Avere l’idea di cos’è il futuro, tuttavia, non è cosa da tutti: ad esempio, i bambini e i ragazzi fino a 10-11 anni non hanno ancora la possibilità di prospettarselo. Il motivo è semplice, non hanno ancora raggiunto la maturità psicologica e cerebrale di formarsi un concetto di futuro plausibile, la loro idea di futuro è sempre impregnata di elementi fantastici che si mischiano con quelli reali e rendono il futuro un luogo mentale ancora “acerbo” per essere definibile come ignoto o indefinito.
Se vogliamo approfondire la faccenda è necessario fare riferimento al funzionamento mentale generale. Nella concezione che sono solito usare, il funzionamento della mente è suddivisibile in 12 competenze che vengono acquisite con lo sviluppo psichico e fisico individuale. Si parte dalla nascita ad imparare a focalizzare l’attenzione, a regolarla e a imparare le cose che il mondo ci fornisce. Si procede imparando a comprendere cosa significa “Affetto” e come lo si comunica, poi si impara a riconoscere nelle altre persone le stesse capacità mentali nostre e si comincia a rendersi conto di essere una persona singola e unica, differenziata dagli altri. In seguito si impara a intrattenere e mantenere delle relazioni e a regolare la propria autostima. Questo elenco di funzioni mentali culmina nella capacità di costruirsi e ricorrere a standard e ideali ispirati ad una propria idea di ciò che è giusto e ciò he è sbagliato e si arriva, finalmente, al titolo di questo articolo: concepire un significato della propria esistenza e, sulla sua base, porre una direzione alla propria vita.
Dare significato e direzionalità alla propria vita vuol dire concepire l’insieme degli eventi vissuti come connessi tra di loro secondo un senso coerente, non per forza logico, di sé stessi. Ciò è la base da cui partire per dare un senso alle scelte personali e implica la consapevolezza di appartenere al genere umano in quanto individui unici e con attenzione alle generazioni che verranno. Tutto questo fa capire il motivo per cui questa capacità mentale è considerata l’ultima della gerarchia.
Concepire il futuro, in definitiva, non è roba per principianti. Per avere un’idea buona di cos’è il futuro bisogna prima di tutto aver superato gli 11 anni in termini di funzionamento mentale, occorre raggiungere la maturità psicologica per tutte le funzioni della mente e tenere in considerazione sé stessi, il mondo e chi lo abiterà dopo di noi.
Ah, quasi dimenticavo. Come ogni cosa che compete la mente umana, non esistono due persone con lo stesso significato e la stessa direzionalità impostata alla propria vita e poche persone riescono a raggiungere una maturità psicologica adeguata. Per capirlo basta vedere di cosa siamo stati capaci rispetto al cambiamento climatico, all’aspettativa di vita del genere umano sulla Terra ed alla considerazione che la maggior parte di noi ha delle generazioni future. Ecco, diciamo che il futuro è la generazione a noi ventura e per valutarne la nostra capacità di prospettarsi il futuro basta riflettere sulla propria concezione delle generazioni a noi posteriori.
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