Abbecedario di provincia: lettera B

Abbecedario di provincia: lettera B

Un giorno lessi un proverbio giapponese che diceva “Se posti dieci storie instagram con frasi poetiche ti trasformerai in un monologo di Benigni”. Che poi quel finale con la bandiera americana per vincere l’Oscar, vabbè, non aumentiamo la schiera dei complottisti. In pratica sto tergiversando perché in questa settimana non ho grandi sentimenti da raccontare né emozioni in particolare. Ho soltanto un pensiero più o meno fisso, ovvero la B di Berlinguer e, citando Pino Roveredo, “mio padre votava Berlinguer perché diceva fosse una brava persona” (ricordo a memoria soltanto Gio Evan), quindi anche la B di brava persona.

Ma non voglio parlare di Berlinguer, che al di là di ogni ideologia era davvero una brava persona, ma un po’ di quello che è accaduto alla nostra povera patria negli ultimi tempi, con Renzi che ha deciso di bucare il pallone e quindi nonostante il sole niente partita. Vorrei raccontare – sul piano “sentimentale”, le analisi politiche le lascio a tutti voi che capite sempre prima e meglio degli altri – la “brava persona” che ho visto nel premier uscente Conte. Politicamente mi sono schierato pochissime volte, ho le mie idee ma credo che la fede politica, così come quella religiosa, vada messa in pratica nella vita di tutti i giorni, non urlata sui social o sulle felpe.

Stavolta, però, voglio fare un’eccezione, perché dopo tanti anni, diciamo da Bersani, sia il politico che il cantante, mi sono sentito rappresentato da qualcuno lì a Roma, anche quando ha commesso degli errori, tipo allearsi con Salvini, ma anche mia madre tollera certi difetti di papà, per amore e perché è una “brava persona”. Ecco, ho sempre pensato che le brave persone hanno il superpotere di ingoiare i “rospi sopportabili” perché sanno che conta altro, che può essere la serenità della famiglia oppure dare un cazzo di governo a questo Paese già in ginocchio. Poi, quando si tradisce oppure da ubriaco si balla sulle tette di cubiste in spiaggia, pure le brave persone si spazientiscono e tutti a fanculo.

Però ricordo, e già rimpiango un po’, le sue lacrime quando aumentarono a dismisura le vittime di questo maledetto virus, il suo orgoglio di rappresentare il Paese che ha inventato almeno metà mondo (mentre scrivo questa frase mi viene voglia di affacciarmi al balcone con il petto in fuori e le mani sui fianchi), e l’accettazione della sconfitta, quando ha capito che non c’era più nulla da tenere, tipo mia madre quando lascia sclerare in solitudine papà andandosene in cucina. 

Abbiamo un disperato bisogno di brave persone, di chi pensa ai cazzi suoi, ma dopo aver pensato a quelli degli altri, a chi chiude gli occhi, a volte, soltanto per riaprirli più forte domani (ho anche semi-citato una delle sue frasi più riuscite, forse un po’ commerciale, ma di effetto).

In fondo ti perdono tutto, tranne Casalino.

Nord Sud Ovest (Roma) Est

Nord Sud Ovest (Roma) Est

L’argomento di questa settimana mi riguarda in prima persona, da individuo prima che da psicologo. Il motivo principale è che, come tanti miei coetanei, dopo aver deciso di continuare gli studi al termine della scuola superiore, ho deciso di emigrare al nord, che nel mio caso è un nord molto relativo al mio luogo di partenza visto che mi sono trasferito, nel lontano 2008, a Roma. La mia esperienza di studente fuori sede, prima, e di giovane psicologo poi, mi ha portato a vivere in una decina di case diverse, tutte condivise con altri studenti/lavoratori e tutte situate nella prima periferia di Roma: ho vissuto nei quartieri di San Lorenzo, Casalbertone, Pigneto-Malatesta e, attualmente, Villa Gordiani, tutte situate nel quadrante est della capitale. Il primo impatto con la città eterna mi ha permesso di apprezzare le opportunità che una metropoli fornisce ai suoi abitanti in termini di studio e attività ricreative, nulla a che vedere con la sterilità atripaldese, fatta di piazze e ritagli di spazi entro cui poter organizzare eventi culturali per arricchire il tanto, troppo tempo libero del paese di provincia. A Roma est ho incontrato il fermento culturale dei centri sociali, la promozione di una partecipazione alla vita pubblica che partisse dal basso, la realtà studentesca fatta di incontri e scambi di esperienze sempre diverse e provenienti da ogni parte d’Italia (con una rappresentanza meridionale esponenzialmente maggiore di quella settentrionale e addirittura di quella autoctona).

La prima, imponente differenza che ho trovato a Roma, quindi, è stata la forte presenza della mia generazione, della fascia d’età 19-35 anni che si riunisce attorno ad un punto di riferimento, quel riferimento che, dalle mie parti è stato dichiarato latitante ed ha favorito la diaspora giovanile, alla ricerca di un totem che potesse rappresentarlo. Mentre nel mio paese facevo parte di vari gruppi di amici, ciascuno di essi costituitosi intorno ad un campanile (la scuola e il monumento ai caduti di Atripalda nel mio caso), la metropoli romana, con la sua tendenza generalizzante e massificante e con il polo universitario a fare da totem aggregativo piuttosto che da campanile, offriva l’opportunità di identificarsi come studente tra tanti studenti, mi ha dato l’opportunità di sentirmi parte di un gruppo così grande da potersi assimilare ad una città.

Col passare degli anni gli studi finiscono, e con essi elaboro l’utopia dell’uomo totipotente, iniziando a chiedermi quale posto potessi occupare in una realtà ancora più grande di quella universitaria. Gli orizzonti, dunque, si estendono ed inizio a considerare con maggiore presa di coscienza il tessuto urbano e sociale in cui vivevo: se prima abitavo in una casa e vivevo all’ombra del totem universitario, dopo 6-7 anni inizio a prendere consapevolezza di ciò che significa vivere la periferia romana e di cosa sia veramente la periferia. Difatti ho sempre abitato sì in periferia, ma a poca distanza dal centro della città; Roma è una delle città più estese d’Europa, e più ci si allontana dal centro, più il tessuto urbano inizia a somigliare al mio paesello fino ad arrivare a situazioni in cui l’offerta aggregativa atripaldese è oro! I ragazzi di Torre Angela, Tor Sapienza o di Torre Maura, quando prendono l’autobus che li avvicina al centro città sono soliti dire “nnamo a Roma”, come se abitassero in un’altra città. Sarà la conformazione del territorio, sarà il piano regolatore, questo sconosciuto, ma la periferia romana pullula di quartieri dormitorio, dove anche per fare spesa o hai l’auto o impieghi un’ora, tra attese e bus che non passano, per arrivare al supermercato. Inizio a pensare di vivere in una “periferia borghese” (gentrificata direbbe qualcuno) e che tutto sommato Atripalda non è da buttare, in fondo anche a Roma ci sono migliaia di persone che vivono in quartieri fatti di case e palazzoni e si possono considerare “emigranti” quando decidono di andare a vivere in un quartiere più centrale della capitale.

In conclusione, la differenza tra centro e periferia romana ricapitola il divario esistente tra nord e sud e tra metropoli e provincia, con tutti i risvolti psicologici del caso. Ci ho messo quasi 10 anni a capire che, dopo essermi trasferito a 240 chilometri di distanza dal paese dove sono nato, mi sono trasferito nel microcosmo metropolitano più simile alla mia Atripalda e che le mie nuove “Avellino”, “Napoli” o “Salerno” si chiamavano Forte Prenestino, Snia, Piazza del Popolo o Campo dei Fiori.

Dentro Roma puoi trovarci tutta Italia.

Bella Cortez, la principessa cubana del cinema peplum italiano degli anni sessanta

Bella Cortez, la principessa cubana del cinema peplum italiano degli anni sessanta

L’antichità greco-romana aveva affascinato fin dagli albori del cinema i produttori e tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta il massiccio investimento di capitali statunitensi per ricostruire la storia di quel periodo nella rinata Cinecittà stimolò la fantasia dei registi e dei produttori italiani. A fronte delle miliardarie produzioni americane, si misero così in cantiere produzioni nazionali con un impegno economico di gran lunga minore, ma capaci con l’inventiva di colmare il divario di mezzi a disposizione. Le componenti furono una forte dose di ironia, una buona capacità di giocare con trucchi ed effetti speciali per centuplicare i mezzi a disposizione, la presenza di uno o più culturisti provenienti dalle palestre e dotati di muscolature espanse all’inverosimile, storie fantastiche piene di ritmo e di colpi di scena. […] (TRECCANI sul genere cinematografico “Peplum”)

Ho sempre pensato che la Settima Arte possedesse una ‘mitografia’ tutta sua, magari non così aulica come le antiche narrazioni elleniche ma pur sempre con un valore in qualche modo esegetico. Ora basta, smetto di bombardarvi con parole desuete e passiamo a questa intervista che spero possiate leggere con leggerezza e curiosità. Iniziate ad affilare le vostre daghe e calzare i vostri sandali…

Bella Cortez, per poco più di un lustro, ha partecipato all’epoca d’oro di un genere cinematografico degli anni Sessanta che gli americani definivano Sword and Sandal e che in Italia è passato alla storia come Peplum (troverete qualche link a riguardo a fine intervista). Ho raggiunto la signora Cortez a Miami attraverso un collegamento video di circa un’ora. In un italiano corretto e musicale, con qualche improvviso lampo in inglese e spagnolo, l’attrice cubana è stata prodiga di simpatici aneddoti sulla sua carriera, la sua vita privata e il cinema in generale. Nel suo racconto ha coinvolto alcuni nomi ingiustamente misconosciuti e altri decisamente immortali del Cinema, tra cui Orson Welles e Christopher Lee. Come mia abitudine ho evitato la formula domanda/risposta editando l’intervista come una narrazione unica, suddivisa in piccoli capitoli. Per i più curiosi ho aggiunto qualche link d’approfondimento a quanto raccontato dalla Cortez. Vi consiglio di consultarli, anche a fine lettura.

Avellino (Italia) / Miami (U.S.A.), venerdì 25 settembre 2020, ore 18,45 (CET)

L’ARRIVO IN ITALIA

Sono arrivata in Italia grazie a Renato Sfera e al conte Vassilli che distribuivano film italiani a L’Avana. Avevo diciassette anni, mi hanno notata e proposto una carriera da attrice di cinema in Italia. Ero minorenne e quindi dovevo chiedere il permesso alla mia famiglia. Mio padre e mio fratello maggiore furono subito d’accordo. A Cuba c’era il comunismo e raggiungere l’Italia per lavorare in quello che all’epoca era il Cinema tra i più importanti del mondo poteva essere una grandissima opportunità. Atterrai per la prima volta a Roma nel 1959, negli ultimi giorni di dicembre. Faceva molto freddo e gli alberi erano senza foglie… mentre a Cuba la temperatura non è mai così bassa e la vegetazione è rigogliosa, quindi l’impatto mi fece rabbrividire.

Sciaguratamente, una volta arrivata nel vostro Paese, ho scoperto che uno dei due distributori era un farabutto. Non aveva la minima intenzione di farmi lavorare nel cinema, tutt’altro! Sono corsa all’ambasciata di Cuba per chiedere aiuto. Cercarono un lavoro per me. Trovarono qualcosa ma il mio sogno restava quello di fare l’attrice…

LA SVOLTA: L’INCONTRO CON SALVI E IL PRIMO FILM CON THORPE

Nel quartiere romano dove abitavo ho conosciuto Rita Della Torre, una cantante e attrice (ascoltatela qui). Fu molto gentile e mi presentò al suo agente che mi accompagnò allo Studio De Paolis. In quegli studi conobbi Emimmo Salvi che aveva appena terminato di lavorare ne Il Terrore dei Barbari (1959, Carlo Campogalliani) con la mia connazionale Chelo Alonso,  già molto conosciuta nell’Italia della ‘Dolce Vita’. Emimmo era alla ricerca di un’attrice che fortunatamente avrebbe dovuto possedere le mie sembianze [la Cortez ride n.d.A.]. Mi diede il suo biglietto da visita e m’invitò nel suo ufficio. All’inizio, non conoscendolo, pensai che non stesse parlando seriamente. Per sicurezza chiesi le sue referenze all’agente di Rita che mi confermò la sua professionalità. Sostenni tre provini generici con lui in cui erano presenti altri del cast tecnico, il direttore della fotografia, lo sceneggiatore, la costumista… Era tutto molto professionale come mi avevano assicurato. In uno di questi incontri il regista mi disse che il mio vero nome Alicia Paneque – non funzionava. Così, accogliendo la sua idea, lo modificai in Bella Cortez. Subito dopo sostenni il mio primo vero provino con il grande regista statunitense Richard Thorpe che mi scelse per I Tartari. Mi mandarono subito in Jugoslavia, a Zagabria, la location del film. Lì conobbi Orson Welles e Victor Mature, i protagonisti del film. La troupe sapeva che c’erano degli attriti tra di loro a causa di Rita Hayworth. Era la prima volta che lavoravano insieme e anche io notai che sul set si ignoravano o facevano finta d’interessarsi alla scenografia per non dover rivolgersi la parola. Ad un tratto si trovarono spalla a spalla ma non successe nulla per fortuna, ma la tensione era palpabile. Ricordo anche che Orson ebbe qualche problema con la sceneggiatura. Fece chiamare un suo scrittore/sceneggiatore di fiducia per far modificare l’originale. Questa cosa accese di nuovo la competizione tra i due. Subito dopo anche Victor interpellò un suo sceneggiatore di fiducia. Un altro mezzo pasticcio ci fu con un cambio di costume richiesto in sequenza da entrambi. La “contesa” tra i due sul set de I Tartari continuò sui campi lunghi, i primi piani e la loro durata che doveva essere cronometrata.

BELLA CORTEZ & ORSON WELLES

Mi piaceva molto vedere all’opera Orson Welles. Era un grande attore, davvero incredibile! Ricordo che non voleva assolutamente che qualcuno gli toccasse il viso. Si truccava da solo. Era fenomenale anche in quello. Riuscì a trasformarsi perfettamente in un mongolo senza l’aiuto della truccatrice di scena.

Una sera mi invitò a cena, ma l’incontro fu un po’ ‘maluco[‘pazzo’ n.d.A]. Nessuno parlava l’italiano e il mio inglese era pessimo. Mi avvalsi del traduttore il quale disse “…su, coraggio, andiamo a cena con Orson Welles…”. Tutta la troupe era lì così a tavola ci ritrovammo in tredici. Orson era molto superstizioso e si sentì costretto a chiedere al cameriere di accomodarsi al tavolo perché secondo lui il tredici portava sfortuna. Il Cameriere gentilmente rifiutò. A fine serata ballammo nel night club dell’hotel dove alloggiavamo e diventammo amici. Un giorno tornai a Roma convinta che la lavorazione fosse terminata. Poi la produzione decise che il finale non era completo e mi richiamarono sul set per girare ancora. Ma a quel punto alcune cose erano cambiate. Ricordo che fui costretta a indossare una parrucca perché i miei capelli non erano più gli stessi. Appena ritornata a casa li avevo accorciati. Il film non ebbe molto successo. Fu ostacolato nella distribuzione da alcune vicende legali. Il mio ricordo invece è legato a quanto mi sono divertita nel lavorare al mio primo lungometraggio insieme a un personaggio come Orson Welles. Facevo anche numerosi scherzi. Di nascosto giravo per l’hotel e scambiavo le scarpe approfittando dell’abitudine che avevano tutti gli ospiti di lasciarle fuori dalla camera.

I GENERI E… CHRISTOPHER LEE

Il genere cinematografico peplum mi piaceva, anche da spettatrice. Erano pellicole d’intrattenimento divertenti sul set e sulle poltroncine dei cinema per gli spettatori. Mi sarebbe piaciuto lavorare in qualche western ma non ne ho avuto la possibilità. Ho girato anche un horror dal titolo Katarsis (anche noto come Sfida al Diavolo, 1964 regia di Nello Vegezzi) con sir Christopher Lee. Lee era un vero gentlemen d’altri tempi e un attore formidabile come pochi altri. Era l’unico collega con cui mi sedevo a chiacchierare e mi sentivo a mio agio. Ma la storia di questo film è molto triste. Il regista tentò anche il suicidio lanciandosi da un palazzo. [La produzione di Katarsis si rivelò fallimentare. Vegezzi, il regista sceneggiatore, si era dedicato anima e corpo alla scrittura di una storia ispirata a Faust. Quando il film fallì e non fu distribuito il regista entrò in un grave stato depressivo; non ho trovato notizie su eventuali tentativi di suicidio ma la Cortez potrebbe saperne di più. Successivamente la produzione fece alcune modifiche e lo distribuì apocrifo con il titolo di Sfida al Diavolo n.d.A.]. Non sono mai riuscita a vedere questo film. Poco tempo fa un giornalista spagnolo l’ha recuperato e me l’ha spedito ma ancora lo devo visionare. Sicuramente sarà differente da quello che ho girato originariamente (Qui il film integrale, probabilmente nella seconda versione).

BULLI, PUPE, SPADE, SANDALI E QUALCHE GELOSIA

Gli attori e le attrici dei pepla anni Sessanta erano tutti molto affascinanti. Durate le riprese di Vulcano, figlio di Giove (1962, Emimmo Salvi)nacquero delle gelosie nei miei confronti da parte di Annie Gorassini che interpretava Venere. Ma la vera competizione c’è stata tra me e Chelo Alonso. Aveva girato con Salvi – prima di me – Il Terrore dei Barbari poi sono arrivata io e un giornalista ha scritto che l’avrei sostituita. Chelo ha letto l’articolo e sono nate alcune frizioni tra di noi. Gli attori uomini spesso erano scelti solo per la loro bellezza o prestanza fisica. Alcune volte non erano dei bravi attori. L’unico che univa la prestanza fisica alla bravura nel recitare era Gordon Mitchell. Un altro attore/bodybuilder molto bello era Richard Lloyd. La natura e gli allenamenti gli avevano donato un corpo molto proporzionato. Avrei voluto tanto lavorare con Steve Reeves, forse la più nota stella del peplum,  ma non fu possibile perché Salvi – che all’epoca era il mio compagno – era geloso di lui.

IL SET DI BELLA

L’autista veniva a prendermi di primo mattino. Dovevo svegliarmi alle 4 per essere pronta. Negli anni Sessanta molti registi di questo tipo di produzioni avevano necessità assoluta del sole e di ridurre al minimo il numero dei giorni di lavorazione. Appena sorgeva il sole noi dovevamo già essere truccate e con il costume di scena. La media giornaliera era di 12-14 ore di lavoro, mai meno. Era molto faticoso per tutti. Le pause erano sempre molto brevi, giusto il tempo di mangiare e cambiare le luci. Ma dopo un po’ mi sono abituata a questi ritmi e oggi mi mancano.

L’ADDIO AL CINEMA

Nella mia autobiografia, che ho quasi terminato, racconto molto bene la strada che mi ha portato ad abbandonare il cinema. Riassumendo: ho avuto alcuni grandi problemi finanziari con Salvi perché lui non pagava i debitori, aveva debiti per oltre 400 milioni di lire. Il mio nome insieme al suo fu riportato su tutti i giornali. Mi infuriai perché mi aveva coinvolto in una questione in cui non c’entravo nulla. Lo lasciai e non volli più lavorare con lui. Poco tempo dopo incrociai il cantautore e compositore Nico Fidenco che stava organizzando una produzione alla RCA. Mi fu proposto di cantare. Però non ero una cantante… Alla RCA incontrai il pianista e organista Robby Poitevin, arrangiatore e direttore d’orchestra per Nora Orlandi. Lavorava alle colonne sonore anche con Ennio Morricone, Gershwin e tanti altri (Qui un suo brano). Era davvero bravo. Ci siamo innamorati e poi sposati. Dopo il matrimonio ho abbandonato definitivamente i set cinematografici. Oggi sono convinta che su questa scelta così drastica non ci avevo riflettuto bene, non fu la scelta giusta. Avrei potuto continuare a fare la moglie e l’attrice senza problemi. Poi nel 1970 l’ho seguito a New York in cerca di fortuna. Dopo ci siamo trasferiti a Miami e abbiamo divorziato. Io vivo ancora nella calda Miami.

SULLA RISCOPERTA DEL CINEMA DI GENERE

Per me l’arte è sempre arte. Gli attori sono sempre attori. Cambiare genere in questo lavoro è un’azione che giudico positivamente allora come oggi, una fase storica in cui bisogna far di tutto perché quest’arte sopravviva. L’industria cinematografia di genere deve intrattenere il pubblico e il pubblico deve rispondere andando al cinema. Qui negli Stati Uniti i film di genere sono sempre molto apprezzati, mi riferisco anche a produzioni moderne e con budget molto alti. La serie Fast and Furious ne è un esempio. Ho dei nipoti e spesso li accompagno al cinema. Mi diverto a guardare queste pellicole. Ho gradito i film dedicati agli Avengers dei fumetti, in particolare uno con Captain America di cui non ricordo il titolo. Apprezzo anche i film drammatici e i polizieschi.

CONTENUTI SPECIALI: BALLERINA? SOLO UN PO’! / TOMAS MILIAN

Tra la recitazione e il ballo scelgo senza esitazioni la prima opzione. Ricordo lunghe sessioni con i coreografi per imparare passi e posizioni durante le riprese dei film. In fin dei conti ho ballato solo nei film che giravo.

https://youtube.com/watch?v=f9kBdBLG0Vs

Su Wikipedia viene riportata un’informazione sbagliata. Non sono mai stata una ballerina a Cuba. Chelo Alonso era una ballerina cubana, non io. Chi mi ha insegnato a ballare è stato un bravo coreografo di nome Leo Coleman [nato Leopoldo Savona, presente ne La dolce Vita di Fellini come attore n.d.A.]. Dopo aver danzato mi rivedevo sul grande schermo e mi piacevano i miei movimenti. Mi è sempre piaciuta la musica e anche ballare, ma non l’ho mai fatto da ballerina professionista.

Tomas Milian l’ho conosciuto a Roma, anche lui veniva da Cuba. L’ho incrociato qualche volta in ambasciata. È così che ci siamo conosciuti. Ma non abbiamo mai coltivato una vera amicizia. Ricordo che andammo insieme ad una premiazione a Ischia. Se non mi sbaglio c’era anche Anna Magnani e fu una bella cerimonia. Nella stessa occasione conobbi anche Alain Delon [ride di gusto n.d.A.]. A poca distanza da Ischia girai alcune scene de Il Gigante di Metropolis (1961, Umberto Scarpelli), quelle in esterno furono girate nei pressi del Vesuvio (Qui il film completo).

L’intervista è finita. Ora cosa accade? A voi valorosi lettori che siete giunti fin qui, vorrei suggerire un titolo che potrebbe solleticare la vostra curiosità sui Pepla. Si tratta di un film “crossover” che dimostra tutto il genio italiano in quest’ambito, così come riportato all’inizio nella citazione della Treccani:

ERCOLE AL CENTRO DELLA TERRA (1961, Mario Bava). Qui una breve recensione sul film, ma potete fidarvi anche senza leggerla.

APPROFONDIMENTI SUL GENERE PEPLUM (LINK CONSIGLATI)

FILMOGRAFIA DI BELLA CORTEZ

https://www.imdb.com/name/nm0181342/

TRECCANI

https://www.treccani.it/enciclopedia/peplum_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/

SUFFRAGETTECINEMA.ORG

https://www.suffragettecinema.org/2019/05/01/i-peplum-movies/

STEVENSAILOR.COM (SWORD AND SALDAL FILM LIST)

http://www.stevensaylor.com/StevensBookshopDVDSwordSandal.html